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L’ARTE AL SERVIZIO DEL CAPITALISMO

Il capitalismo trans-estetico di Gilles Lipovetsky

Chiara Righi4 Dicembre 2023

Gilles Lipovetsky ha teorizzato il capitalismo trans-estetico. L’autore ci avverte: ormai siamo tutti “consumatori estetici” e dovremmo stare in guardia.

Ecco un breve estratto delle sue riflessioni, concentrato su una delle problematiche più interessanti.

Mona Lisa

Collezione “Da Vinci” di Louis Vuitton progettata da Jeff Koons. 

Se Takashi Murakami disegna borse per Louis Vuitton, Marina Abramovic realizza spot pubblicitari per l’Adidas e Arnaldo Pomodoro progetta orologi per Swatch, qualche domanda sorge spontanea. Come mai i nostri artisti, invece di occuparsi delle loro ricerche poetiche, sempre più spesso lavorano per l’industria commerciale? E come mai i grandi brand hanno sempre più la necessità di essere nobilitati dalle arti?

 

Troviamo la risposta nelle riflessioni di Gilles Lipovetsky, filosofo e sociologo francese. Gli oggetti non sono più prodotti “tecnici” ma hanno l’esigenza di creare emozioni ed esperienze, di posizionarsi nel registro della creazione e della bellezza. I marchi del lusso, in particolar modo, cercano di darsi una statura, di veicolare i sensi diventando qualcosa di iconico, cercando l’approvazione nel mondo della cultura “alta”. Peccato che di “alto” rimanga solo il design, la ricerca della bellezza estetica, completamente svuotata da ogni forma di contenuto.

Mentre nel passato la dimensione estetica accompagnava la spiritualità (rituali antichi, mitologia e arte sacra), ora l’arte è prodotta per il mercato. Gilles Lipoversky ci avverte sulle conseguenze di questa operazione: siamo ormai diventati tutti consumatori estetici e facciamo sempre più fatica a vedere al di là dell’aspetto esteriore.

Hermes, Roma

Vetrina della boutique Hermés a Roma. Foto di Antonio Manni. 

Per spiegarci la situazione, il Gilles Lipovetsky conia il termine “capitalismo trans-estetico[1]”, che indica la corporazione sistematica dell’arte nei settori di consumo.

Possiamo porre l’inizio di quest’operazione con la nascita delle prime campagne pubblicitarie e del design, che hanno modificato nel profondo tutto il nostro modo di vivere e consumare. Siamo a metà dell’800, quando gli intellettuali iniziano ad accusare il sistema capitalista per la bruttezza che produce, manifestando la necessità di scendere a un compromesso tra bellezza ed economia. Si pensi, ad esempio, a William Morris che cercò di integrare l’artigianato nella produzione, producendo di fatto i primi pezzi di design d’autore.

In quello stesso periodo, a Parigi vennero realizzati i primi Grandi Magazzini, un enorme supermercato, con grandi finestre e vetrine che permettevano alla luce solare di entrare. Lì venivano organizzati spettacoli di danza e di teatro, tutto era decorato e rifinito, tanto che questo magazzino oggi è considerato l’ottava meraviglia del pianeta. I Grandi Magazzini diventarono una tale attrazione che addirittura la Chiesa avvertì il pericolo del sistema capitalista come qualcosa di “satanico”, in grado di deviare le persone verso atteggiamenti superficiali e peccaminosi[2].

i grandi magazzini...

I Grandi Magazzi di Parigi. 

 

Durante tutto il primo ‘900 abbiamo una fase d’integrazione della bellezza nel capitalismo, cosa che ci appare ben nota pensando ai nostri cari Futuristi, che si spesero per diffondere la loro arte in tutti in settori, tra cui la moda, il design e la pubblicità. Grazie a loro, oggi ci basta comprare una bottiglietta di Campari per poter vantare il possesso di un Fortunato Depero[3].

Le cose iniziano a cambiare nel secondo dopoguerra quando, dal 1950 in poi, inizia l’era del consumo di massa, il tanto famigerato consumismo. Con l’iperconsumo la forma estetica degli oggetti è decisiva per abbattere la concorrenza e prolifera in tutte le sue forme: dal design del prodotto, al design sonoro, a quello tattile. È sorprendente come la ricerca estetica investa anche gli oggetti più basici: dalle penne, alle padelle, alla carta igienica di colori diversi.

 

Il cambio di mentalità è netto. Si pensi, ad esempio, che negli anni ‘30 Ford concepiva l’estetica come uno spreco nell’industria dell’auto: una macchina doveva avere altre qualità, ovvero essere robusta, funzionale, economica e accessibile a tutti. Ora invece General Motor inizia a inserire nell’industria automobilistica elementi di moda che permettano di rilanciare il prodotto automobilistico, rendendo l’oggetto più bello e raffinato. A curare l’estetica dell’oggetto sono invitati stilisti, scenografi e artisti, mentre i designer assumono una responsabilità sempre maggiore nel processo di produzione, tanto che il marchio diventa sinonimo di “stile”.

Solo alla luce di tutto ciò, capiamo come sia possibile che oggi la Mercedes lanci una campagna pubblicitaria con lo slogan: “Le nostre macchine sono dei veri oggetti d’arte”.

071130 Takashi x Benz

Takashi Murakami per Mercedes Benz. L’artista giapponese si presta spesso alla collaborazione con industrie di vario tipo. 

 

Veniamo a una delle criticità più interessanti del capitalismo trans-estetico rilevate da Gilles Lipovetsky. Secondo il filosofo, oggi siamo giunti al punto di non comprare più per cercare distrazione, anestesia, piacere, ma perché andiamo in cerca di esperienze. Andiamo a fare shopping nello stesso modo con cui conduciamo le nostre vacanze turistiche: cerchiamo profumi, colori, emozioni. Siamo perennemente in cerca di sensazioni nuove, che ci portano a ribaltare casa e andare da Ikea per provare qualcosa di diverso. Siamo giunti all’estetizzazione dell’esperienza di consumo.

Il problema sta nel fatto che il consumatore estetico è un turista delle emozioni, generiche e senza cultura. Ecco perché quando usciamo da un museo antico l’unica cosa che sappiamo dire è “che bello!”, quando in realtà non è una mostra di prodotti estetici ma di oggetti che servivano a dei rituali. Diciamo “che bello” perché abbiamo solo codici estetici, emozioni veloci. Andiamo in giro a farci toccare dalle suggestioni, fruendo superficialmente del piacere.

 

Inutile dire che siamo predisposti al rischio di non sentirci mai autenticamente soddisfatti. Per evolvere verso un pieno appagamento, il consumatore estetico deve diventare un creatore, iniziare a ricercare la qualità delle esperienze e, soprattutto, ritrovare altri valori oltre a quelli estetici.

Per tornare ai nostri amici artisti, questa ricerca può partire anche da loro. Ce ne sono tanti che portano avanti delle indagini artistiche significative, che vanno ben al di là dello sguardo superficiale prestato all’industria del consumo. Interessarci al loro lavoro, indagando i problemi sociali e dell’animo umano, è un ottimo modo per sviluppare una sensibilità, una cultura e favorire il nostro sviluppo personale.

 

 

 

 

 

Se vuoi approfondire la ricerca artistica di Takashi Murakami vai all’articolo: Murakami e la profondità della pittura super piatta.

Se vuoi conoscere gli ideali di William Morris vai all’articolo: L’utopia sociale dell’art and crafts.

Se ti interessano gli articoli che indagano il rapporto tra arte e mercato, forse può interessarti anche questo sul mercato cinese: Arte cinese: il fake più vero che c’è!.

 

 

[1] “L’esthétisation du Monde”, libro di Gilles Lipovetsky e Jean Serroy

[2] Cit. Gilles Lipovetsky durante la conferenza “Estetizzazione- L’epoca del capitalismo artista”, 15 settembre 2017, Modena, in occasione del Festiva della Filosofia.

[3] Fortunato Depero lavoro a lungo per la Campari come pubblicitario e progetto anche la famosa bottiglietta conica che lo contraddistingue.


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Chiara
Punk di formazione, da sempre si occupa di arte contemporanea e controculture.
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