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Arte povera

Chiara Righi2 Aprile 2024

L’arte povera è un movimento artistico sorto in Italia nella seconda metà degli anni sessanta del Novecento al quale aderirono autori alcuni dei quali di ambito torinese.

Il movimento nasce in aperta polemica con l’arte tradizionale, della quale rifiuta tecniche e supporti per fare ricorso, appunto, a materiali “poveri” come terralegnoferro, stracci, plastica, scarti industriali, con l’intento di evocare le strutture originarie del linguaggio della società contemporanea dopo averne corroso abitudini e conformismi semantici.

Un’altra caratteristica del lavoro degli artisti del movimento è il ricorso alla forma dell’installazione, come luogo della relazione tra opera e ambiente, e a quella dell'”azione” performativa. Germano Celant, che mutua il nome del movimento dal teatro di Jerzy Grotowski, afferma che l’arte povera si manifesta essenzialmente “nel ridurre ai minimi termini, nell’impoverire i segni, per ridurli ai loro archetipi”. Gran parte degli artisti del gruppo manifestano un interesse esplicito per i materiali utilizzati mentre alcuni – segnatamente Alighiero Boetti e Giulio Paolini – hanno fin dall’inizio una propensione più concettuale.

L’arte povera si inserisce nel panorama della ricerca artistica dell’epoca per le significative consonanze che mostra non soltanto rispetto all’arte concettuale propriamente detta, che in quegli anni vedeva sorgere l’astro di Joseph Beuys, ma anche rispetto a esperienze come popminimal e Land Art (Richard Long).

L’obiettivo di questi artisti era quello di superare l’idea tradizionale secondo cui l’opera d’arte occupa un livello di realtà sovratemporale e trascendente. Per questo motivo risulta importante la provocazione che deriva dall’opera di Giovanni Anselmo Scultura che mangia (1968, collezione Sonnabend, New York), formata da due blocchi di pietra che schiacciano un cespo di lattuga, vegetale il cui destino inevitabile è quello di deperire. Frequente è l’uso di oggetti viventi, come in Kounellis, il quale fissò un vero pappagallo su una tela dipinta, a dimostrazione del fatto che la natura dispone di più colori di qualsiasi opera pittorica.


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Anno di pubblicazione / 1919

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