Lo sai che il movimento Hacker esisteva già prima dell’invenzione della rete internet?
È nato come una controcultura underground e continua a portare con sé principi etici e morali ben delineati che, lotta dopo lotta, stanno modificando la nostra realtà.
Puntualizzo che la parola “hacker” indica una persona che trova soluzioni ingegnose per aggirare limitazioni e crede nell’etica open source, non chi commette crimini informatici nel tentativo di ricavarne un beneficio economico personale (in questo caso si parla di Cracker).
Foto di William Fallows.
A cosa pensi se dico “Hacker”? È un fenomeno che si muove sottoterra, pieno di contraddizioni e ambivalenze, su cui si sente dire di tutto. C’è chi usa questo termine per indicare il criminale che ruba i codici delle carte di credito (che in realtà va definito “cracker”) e chi per individuare la persona che insegna al ragazzino senza possibilità economiche a crackare il programma costoso, in modo che possa avere le stesse opportunità del suo compagno di classe borghese.
Gli Hacker non si sa chi siano, rubano e regalano senza lasciare una firma. Spesso non si sa perché lo facciano, se per un ideale, per il piacere di esplorare un sistema o per essere notati esattamente dall’azienda che vanno a danneggiare (vedi i programmatori dei sistemi di sicurezza, che spesso sono le stesse persone che hanno dimostrato di saperli forzare). Stiamo quindi parlando di un argomento controverso, di doppie vite di uomini insospettabili, di una passione intima e silenziosa.
In questo articolo mi limito a riportare le informazioni da loro stessi dichiarate in modo da non ledere la privacy di nessuna persona coinvolta e tracciare semplicemente una breve linea storica del movimento.
Sì: ho detto “movimento”, perché la pratica hacker, prima di essere un crimine o un gesto rivoluzionario, è nata come una controcultura dal nome Cyberpunk.
Il Cyberpunk nasce come genere lettarario ambientato in un futuro distopico. Ipotizza un mondo in cui i robot e le nuove tecnologie abbiano sviluppato una coscienza. I protagonisti sono sempre antagonisti di regimi autoritari, capaci di usare la tecnologia a proprio vantaggio: i loro ideali sono stati adottati da molti giovani per delineare uno stile di vita nel mondo delle controculture.
Il giornalista tedesco Rainer Fabian afferma che “gli Hacker con il loro agire hanno sviluppato un’etica, che è l’unica che si sia sviluppata nell’era del computer[1]”. Infatti, questo movimento nasce negli anni ‘60 a fianco delle controculture giovanili di stampo libertario, dichiarando lotta aperta contro l’autorità e la capitalizzazione dei beni. Sono i primi ad essersi accorti, all’alba dell’era digitale, di quanto potere e tecnologia fossero strettamente legati, intuendo che chi avrebbe dominato il mondo nel futuro sarebbero state le persone in grado di utilizzare e detenere il controllo dei mezzi informatici.
Lo strumento digitale però non è inaccessibile, anzi, è contraddistinto proprio per la sua estrema diffusione e, con un po’ di passione, tutti possiamo imparare ad utilizzarlo, sabotarne gli ingranaggi, riprogrammarlo e modificarlo a nostro piacimento. Da questo dato di fatto i primi Hacker hanno tratto la loro conclusione: la conoscenza tecnica dei mezzi non deve rimanere un privilegio per pochi ma deve essere diffusa al popolo, in modo che la tecnologia diventi il primo strumento realmente democratico.
A questo proposito è ormai leggendaria la rivista YIPL (Youth International Party Line), meglio conosciuta come TAP, nome con cui fu ribattezzata negli anni settanta (che sta sia per “Technological Assistance Program” che per “Technological American Party”). Questo magazine fu fondato da Richard Cheshire negli anni ‘60 allo scopo di diffondere pratiche di hackeraggio: su di esso venivano pubblicate le istruzioni su come inserirsi nelle banche dati militari, numeri di telefono segreti, come falsificare documenti e fabbricare molotov.
Una delle pratiche che ebbe maggior successo diffusa da TAP fu quella del “phone phreeking” ai danni del colosso telefonico americano Bell Company: la rivista spiegava nel dettaglio le clamorose scoperte di John T. Draper, meglio conosciuto con il suo pseudonimo Captain Crunch (tratto da una marca di cereali da colazione), che, tramite un fischietto regalo inserito in una confezione di cornflakes, è riuscito a individuare le frequenze telefoniche e a elaborare i metodi per effettuare chiamate gratis, anche intercontinentali.
Tali pratiche ebbero un tale successo da attirare notevoli attenzioni da parte della magistratura: con l’inizio degli anni ‘70 le leggi per difendere le aziende governative e private dagli attacchi hacker si fanno più ferree e nel 1972 Captain Crunch viene arrestato, colto in fragrante mentre telefonava illegalmente a Sidney per sapere i titoli dell’Hit parade locale. Da questo momento il diritto alla libera informazione, l’accesso ai servizi gratuito e la difesa contro gli attacchi della magistratura, entrano al centro del dibattito del movimento. Per difendersi dalle denunce, con la classica ironia che caratterizza l’ambiente hacker, il redattore di TAP pubblica su ogni numero della rivista frasi del genere: “Noi scriviamo solamente per dire ai ragazzi cosa non devono fare e glielo spieghiamo nel dettaglio.”
Il fischietto grazie al quale Capitan Crunch diventò l’incubo dell Bell Telephone Company, la compagnia telefonica nazionale americana.
I primi Hacker si muovono quindi con un intento politico ben delineato, difendendo alcuni principi etici: la gestione democratica dei dati d’interesse pubblico, la libera circolazione e fruizione dei servizi ai danni delle aziende capitalistiche e la distruzione dell’autorità gerarchica. Lo scopo era quello di portare il potere verso il decentramento.
Seguendo questi principi, nel 1981, nasce il Chaos Computer Club ad Amburgo (CCC), che raduna attorno a sé buona parte degli hacker politicizzati tedeschi ed europei. Oltre organizzare numerose iniziative contro l’energia nucleare, le banche e diffondere le pratiche di hackeraggio; ogni anno si ritrovano per enormi convention di tre giorni, chiamate Chaos Computer Congress, in cui si tengono conferenze, dibattiti e veri e propri workshop su come forzare sistemi di sicurezza della Rete internet (ormai in pieno sviluppo) ai danni di aziende pubbliche o governative, mostrando gli utilizzi alternativi del computer.
Il Chaos Computer Club è ancora attivo e si occupa sia di rendere pubblici i dati delle società segrete sia di difendere la privacy dei cittadini, continuamente soggetta a violazioni. Già all’inizio degli anni ’90, rilascia consigli sulla protezione dei dati personali, insegnando a criptare i messaggi e denunciando apertamente le aziende che non rispettano le norme sulla privacy.
Le loro convinzioni antiautoritarie su come dovrebbe essere gestita la società sono riscontrabili nella struttura stessa del CCC, basata sul decentramento totale del potere. Questa organizzazione è funzionale anche alla loro sicurezza giuridica, come spiega Wau del CCC: “Ci siamo costruiti una rete informatica organizzata in modo tale da non poter essere controllata, infatti non è gerarchica ma caotica ed è impossibile o molto difficile, partendo da un nodo di questa, risalire a tutta la rete[2]”.
Il banner esposto all’ingresso di un grande evento organizzato dal CCC recita: “Chiunque cerchi di distruggere la convivenza in questa società e di lavorare per una società i cui principi si basano su sciovinismo e nazionalismo sta lavorando contro i principi morali che ci uniscono come un club.”
Una struttura simile è riscontrabile anche in un fenomeno politicizzato di più recente formazione: il gruppo degli Anonymous, nato nel 2003 sul sito 4chan, a cui chiunque può anonimamente aggregarsi.
Questo gruppo si coordina per condurre attacchi mirati contro multinazionali e istituzioni governative che attuano politiche che danneggiano l’ambiente e non rispettano i diritti umani. I membri di Anonymous si definiscono hacktivisti e organizzano manifestazioni anche nel mondo fisico per contestare le ingiustizie sociali. In ogni apparizione pubblica, virtuale o reale che sia, indossano la maschera di Guy Fawkes tratta dal film “V per Vendetta” che garantisce loro l’anonimato.
Sul loro blog italiano spiegano: “L’idea fondamentale che unisce tutti gli Anonymous è quella di Libertà… Quella del poter sapere, quella del voler sapere. Le censure, i gesti contro l’umanità, l’ambiente e il pianeta, vengono denunciati mediante proteste o attraverso attacchi internet.”
Nel loro film di presentazione “Anonymous: l’esercito degli Hacktivisti”, uno di loro dichiara: “Siamo una voce sola, non voci individuali, ecco perché non mostriamo le nostre facce e non mostriamo i nostri nomi, parliamo come uno solo, siamo un collettivo.”
Utilizzano svariate tecniche di hacking per destabilizzare siti e sottrarre informazioni e documenti riservati; tra i loro attacchi più importanti ricordiamo quello al sito della corte d’appello federale americana, la chiesa di Scientology e gli sponsor dei mondiali di calcio 2014.
Il motto degli Anonymous: “Noi siamo Anonymous. Noi siamo legione. Noi non perdoniamo. Noi non dimentichiamo. Aspettateci!”
Anche in Italia, nel corso degli anni ’90 e primi del 2000, sono sorti diversi gruppi di hacker attivisti, spesso vicini ai centri sociali e ai collettivi autogestiti. La loro nascita è dovuta alla diffusione della cultura cyberpunk, approdata in Italia soprattutto grazie alla rivista milanese “Decoder” e alla comunicazione realizzata da alcuni personaggi del mondo underground come Franco Bifo Berardi, Tommaso Tozzi e Raf Valvola Scelsi.
Nel 1998, presso il CPA (Centro Popolare Autogestito) di Firenze, si tenne il primo Hackmeeting italiano che portò alla luce molte realtà sommerse e attive sulla Rete. Si tratta per lo più di collettivi militanti e attivisti che cercavano di diffondere il “media fai da te” basati sulla gestione collettiva del mezzo e creare spazi liberi di controinformazione, come Autistici/Inventati, Indymedia, Tactical Media Crew e Strano Network.
Oltre gli attacchi mirati, la loro principale funzione era quella di occupare Internet come se fosse un luogo fisico da difendere, ancora vuoto e quindi Zona Temporaneamente Autonoma (TAZ)[3].
I siti italiani sopracitati veicolano le forme artistiche più libere e antiautoritarie: dal libero scambio di musica autoprodotta, alle fanzine, all’hacker art, alle radio autogestite.
Quelle riportate sopra sono solo linee generali storiche e dichiarate apertamente dai diretti interessati, ma la realtà sotterranea rimane molto più vasta. Quello che possiamo rilevare con certezza è l’impatto sociale del mondo hacker: la convinzione che i dati governativi e militari debbano essere liberi e accessibili, perché d’interesse pubblico, ha forzato le autorità di tal campo a pubblicare molti più documenti per evitare scandali, assicurando una maggiore trasparenza sotto alcuni aspetti, o, in alternativa, a non potersi servire della rete. L’industria cinematografica, musicale, l’editoria e le case di produzione dei video giochi stanno ancora accusando il duro colpo della convinzione, da parte degli hacker, che i loro servizi debbano essere gratuiti e che non tutto debba diventare una merce. L’idea della censura e del diritto di autore stanno cadendo per lasciare il posto a quella del libero scambio, fornendo una pluralità di opinioni e materiale gratuito alla portata di tutti.
Stiamo quindi assistendo a un crollo di alcuni dei grandi principi della società industriale, per far spazio ai nuovi dell’era digitale.
Insomma, il doppio volto notturno e segreto della società, che senza urlare nei telegiornali si muove nel silenzio dei codici, si sta mostrando uno degli elementi fondamentali del cambiamento globale. Se il volto giornaliero che mostriamo sotto la luce del sole è apertamente logorato sotto ogni aspetto etico, votato all’indifferenza e allo sprezzo, non rimane da sperare che sia proprio nella nostra intimità segreta, nascosta dalla maschera tecnologica, che la nostra morale osi una rivalsa.
Per approfondimenti riguardanti la storia del hacking si consiglia la lettura di Cyberpunk – antologia di testi politici, di Raf Valvola Scelsi, ed. Shake, anno 2007.
Se vuoi conoscere le forme artistiche vicine al movimento hacker, o che ne hanno propriamente fatto parte, vai all’articolo: “Net.art e hacker art: sogni e lotte della rete“
1. Cit. “Cyberpunk – antologia di testi politici”, di Raf Valvola Scelsi, ed. Shake, anno 2007.
2. Cit. “Cyberpunk – antologia di testi politici”, di Raf Valvola Scelsi, ed. Shake, anno 2007.
3. Per approfondimenti leggi l’articolo di Case Studies che racconta nel dettaglio la storia del movimento hacker e dell Artivism in italia: http://www.kabulmagazine.com/squatting-net-hacktivism-italia/
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Punk di formazione, da sempre si occupa di arte contemporanea e controculture.