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RITORNO AI DEMONI

L'arte di Venezia verso l'arcaico

Chiara Righi28 Marzo 2018

Vuoi sapere qual è l’umore del mondo in questo periodo storico?

Fatti un giro a Venezia. Tra la biennale, mostre di Damien Hirst e David Lachapelle, noterai qualcosa di strano. Artisti e curatori di tutte le nazioni, provenienti da ogni angolo del pianeta, hanno virato in una direzione particolare. Non è un caso, né una decisione presa a tavolino. È un sentire comune.

Out Of Hollowness di Rina BanerjeeDettaglio opera “Out Of Hollowness” di Rina Banerjee. Biennale di Venezia 2017

 

Addio pittura, fotografia e disegno. Ci siamo amati tanto ma oggi è il momento dell’ignoto.
Se è vero che l’arte è lo specchio del mondo odierno, i traumi collettivi e sociali di questi anni ci stanno portando a un nuovo approccio mentale. L’arte lo comunica chiaramente ripudiando il bello, il cinico, il razionale e il concettuale.

La biennale va dritta versa l’ignoto, alla magia nera, l’invocazione, il rituale di gruppo.

 

Si riaprono le tombe dei faraoni e i templi babilonesi. Gli artisti invitati si sono rivolti spontaneamente verso un passato arcaico, che va dalle tendenze primitive tribali, alla rievocazione di divinità e credenze mesopotamiche. Contemporaneamente, anche Damien Hirst, artista inglese tra i più influenti del pianeta, sta realizzando a Venezia una mostra tutta incentrata sulla riproposizione di divinità antiche.

 

Le opere più interessanti sono tutte circondate dal mistero arcaico delle prime civiltà umane, in balia di esorcismi e minacciose presenze sovrannaturali. Davanti a questa evidenza è necessario chiedersi cosa stiamo cercando in quel lontano passato. Per capirlo, dobbiamo fare un salto nella storia.

Breve storia del culto religioso politeista in Medio oriente

Quando parliamo della concezione del mondo nella storia arcaica, pensiamo inevitabilmente ai culti religiosi.
Infatti, per gli antichi, le credenze mistiche non erano una questione di fede personale ma il modo in cui si spiegavano il mondo, l’interpretazione del proprio vissuto. D’altronde, anche l’arte era utilizzata quasi esclusivamente per finalità religiose. Ma partiamo dal principio, quando ancora la religione non era stata concepita.

Preistoria

L’uomo preistorico non venerava alcun dio. Viveva in balia di un mondo ostile, tra mille difficoltà a cui fare fronte: procurarsi il cibo, sopravvivere alle malattie, sconfiggere animali feroci e nemici. Le forme artistiche allora assumevano un’importanza estrema. Infatti, graffiti, statuette e cromlech, non avevano né una funzione decorativa, né una comunicativa. L’arte era considerata una necessità, poiché possedeva proprietà magiche. Veniva impegnata nei riti propiziatori e aveva il potere di modificare il corso degli eventi. Attraverso a questa l’uomo pensava di poter attrarre a sé ciò che desiderava. Ad esempio, se una Venere primitiva, simbolo di fertilità, veniva sepolta sotto un campo, si credeva che questo avrebbe dato un buon raccolto. Allo stesso modo, disegnare la cattura di un bisonte, significava già iniziarlo a possedere nella realtà1. Magia pura.

opera Werken di Bernardo OyarzúnFoto maschere, opera “Werken” di Bernardo Oyarzún. Biennale di Venezia 2017

Sumeri

Sono stati i Sumeri, prima civiltà della mezzaluna fertile, a inventare il concetto di divinità. Geniali inventori della ruota, della scrittura e del mattone, i Sumeri immaginano che i fenomeni naturali siano esseri soprannaturali. Si tratta di divinità molto umane, dotate di un carattere, di sentimenti e necessità simili alle nostre. Non sono né buoni né cattivi, semplicemente possono comportarsi in modo favorevole o sfavorevole nei confronti dell’uomo, secondo le circostanze. Esattamente come, di fatto, fanno l’acqua, il vento o il fuoco.

 

Secondo il culto sumero la vita dell’uomo ha un ruolo ben preciso nel mondo: gli dei avevano creato gli uomini perché lavorassero al posto loro e lo scopo della vita dell’uomo era quindi quello di consegnare agli dei ciò che desideravano. Il rito sumero consisteva, infatti, nel sacrificare a loro cibo, animali, opere d’arte e preghiere. Tutte le forme artistiche, musica compresa, erano realizzate per compiacere gli dei.

 

I Sumeri sono coloro che hanno concepito l’idea di vita dopo la morte. Inventano un aldilà che dovrebbe suonarci familiare. Si tratta di un luogo sotterraneo senza luce, molto caldo, privo delle bellezze della natura e della vita terrena, per molti aspetti simile alla visione dell’inferno cristiano e all’Ade nella mitologia greca2.

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Tutte le immagini di David Lachapelle a Venezia sono ambientate nel giardino dell’Eden. L’idea di paradiso terrestre, prima di essere citata nella Bibbia, è stata coniata dalla mitologia sumera. Le tavolette sumere parlano del paese di Dilmun, in cui era presente un lussureggiante giardino in cui gli dei decidono di fondare il loro paradiso terrestre. Qui non esistevano morte, malattie e le dee partorivano senza dolore. È qui che il dio Enki (dio dell’acqua) mangia i frutti di alcune piante scatenando le ire della dea madre Ninhursag (la terra),che lo destina a molteplici mali.

Babilonesi

Tra i Babilonesi aleggiava un’aria di magia, stregoneria e occultismo. Ereditarono in gran parte le divinità sumere, seppur modificandone nomi e i modi d’interagire con l’uomo. Fu sotto il dominio babilonese che venne concepita un’altra rivoluzione culturale nell’ambito religioso: la presenza demoniaca. Vi erano divinità che incarnavano qualità positive e altre palesemente nefaste. La figura del sacerdote serviva a invocare la protezione benigna e allontanare le sciagure dei demoni, ma coincideva anche con quella del guaritore, che praticava le prime forme di medicina. Infatti, la malattia era considerata un evento causato da un demonio ed era combattuto con filtri curativi e rituali magici.

 

Parallelamente alla magia benefica si sviluppa anche la così detta “magia nera”. Si tratta della pratica d’invocare i demoni per ottenere scopi personali oppure per sovvertire l’ordine politico. Si sviluppano anche delle discipline che prevedono la previsione del futuro data dall’osservazione astrologica delle stelle, e la mantica, ossia la capacità di
leggere dei segni o di ottenere informazioni segrete da esseri soprannaturali. L’inferno rimase collocato sottoterra ma si riempì di fuoco e demoni truci. Questi ultimi avevano un aspetto orripilante e passavano la giornata a opprimere gli spiriti dei morti3.

 

I Babilonesi furono molto abili a impiegare la religione per fini politici facendo diventare Babilonia, non solo la capitale politica dell’impero, ma un luogo sacro di spiritualità. Qui, la presenza degli dei era tangibile. D’altronde, Babilonia era piena d’immagini sacre: i babilonesi credevano che un’opera d’arte ben fatta, potesse ospitare davvero lo spirito della divinità rappresentata.

Šamaš di Zad Moultaka

Foto opera “Šamaš” di Zad Moultaka. Biennale di Venezia 2017. Il Padiglione del Libano presenta una ricostruzione del tempio di Šamaš, antica divinità babilonese, il dio del sole e della giustizia. L’idea del sole contrasta con le tenebre in cui siamo immersi (entrando nel tempio si viene accompagnati dal personale attrezzato di torce). All’interno di questo, un’istallazione robotica si fa metafora dell’antico codice di Hammurabi, ossia il primo codice di leggi scritte dall’uomo, realizzato appunto dal popolo babilonese. 

Assiri

Quando il violento popolo Assiro conquistò le terre Babilonesi, a sua volta ne ereditò gli dei. Gli Assiri li trasformarono in divinità più autoritarie e cruente, dall’aspetto mostruoso. Proprio come i Babilonesi, e forse peggio, la vita degli Assiri era fortemente influenzata dalla paura dei demoni. Concepivano l’esistenza di una quantità numerosissima di demoni, ogni uno dei quali portava una malattia, una pestilenza o una sciagura. Buona parte dei loro riti religiosi consisteva proprio in scongiuri ed esorcismi per cacciare gli spiriti maligni. Qualunque cosa negativa succedesse sotto il loro impero era attribuita alla volontà di qualche demone dispettoso. D’altronde nemmeno quelli buoni parevano essere così rassicuranti. Ci basti pensare che la loro divinità protettrice era Assur, un dio guerriero, il cui scopo era di creare una “monarchia universale” sottomettendo tutti i popoli esistenti.

 

Alcuni dei demoni più famosi e temuti erano Pazuzu, re degli spiriti malvagi, e Nergal, dio degli inferi. Gli Assiri erano particolarmente inquietati dall’idea della morte. Anche se culturalmente erano molto legati a pene capitali e uccisioni cruente, le idee sulla morte e sui defunti erano associate a fantasie spaventose. Ad esempio, gli Assiri ammettevano la possibilità che i morti non sepolti potessero andare errando come spiriti del male e ritornare a tormentare i vivi4. Insomma, sono gli inventori ufficiali degli zombi.

The Mountain di Moataz Nasr

Opera “The Mountain” di Moataz Nasr, Biennale 2017.

Il Padiglione dell’Egitto quest’anno propone alla biennale un video di Moataz Nasr che narra la storia di una donna coraggiosa decisa a liberare il proprio popolo dalle credenze popolari, legate a demoni maligni. Il finale del video lascia però aperta la questione: pare che la donna, sfidando i demoni, venga uccisa da queste entità davanti a tutto il villaggio.

Egizi

Vicino a queste visioni inquiete, troviamo quelle degli antichi Egizi. Anche questo popolo inventò un sistema religioso
politeista basato sulla personificazione di fenomeni naturali, molto complesso.
La loro concezione del mondo è particolarmente interessante. Gli Egizi sentivano di appartenere a un mondo ordinato, la cui armonia era continuamente minacciata da forze caotiche provenienti dall’esterno, estremamente potenti e minacciose. Il loro culto consisteva nel sostenere delle divinità zoomorfe che difendessero l’ordine del mondo e combattessero contro il disordine. Quando succedevano disgrazie, sia personali sia collettive, come l’arrivo di una guerra o una pestilenza, la colpa non era mai dell’uomo ma del cosmo che stava perdendo l’armonia, subendo uno squilibrio. Erano le forze dell’ordine che stavano perdendo la battaglia contro quelle del caos.

 

Nulla era dato per scontato, nemmeno il sorgere del sole. Il sole, secondo gli Egizi il dio Ra, tutte le sere moriva, cioè scendeva negli inferi per combattere le forze del caos: sarebbe risorto la mattina successiva solo se, aiutato dagli altri dei, sarebbe riuscito a vincere la battaglia, tutelando l’ordine naturale del mondo. Una delle paure più grandi dell’antico Egitto era proprio che la barca del sole venisse fermata, causando l’arrestarsi del tempo. In ogni caso, le divinità egizie non erano per forza buone o cattive e potevano rivoltarsi a favore o a sfavore della battaglia umana in qualsiasi momento5.

 

Per gli Egizi la vita nell’aldilà non era un’ipotesi ma una certezza. Infatti, dedicavano la maggior parte dei propri sforzi nella progettazione, costruzione e decorazione delle loro tombe. Non è un caso se i palazzi reali, in cui i faraoni trascorrevano la loro vita, erano molto meno belli delle tombe che li avrebbero accolti dopo la morte. D’altronde la vita sarebbe durata ben poco rispetto a tutto il resto dell’eternità, ed era proprio per l’aldilà che erano riservati i piaceri di pitture, bassorilievi e sculture, per la maggior parte nascosti nelle stanze segrete funerarie.

Miķelis FišersOpera “Kokgrebumi” di Miķelis Fišers, Biennale di Venezia 2017.

Queste brevissime sintesi delle concezioni religiose ci aiutano a trarre le conclusioni.
Le opere in mostra quest’anno, senza fare inutili allarmismi, si collocano in un immaginario esoterico e irrequieto. Un immaginario che lascia risorgere antiche paure, presagi paranormali e isterie collettive.
L’arte dei giorni nostri riflette l’idea di sentirsi in balia di forze oscure, in cui vige un evidente abbandono del raziocinio rispetto agli impulsi irrazionali. Sono i segnali di un’epoca vacillante, che, traumatizzata nella sua vita sociale, vive un senso di mistero e smarrimento. Ma forse anche un’epoca vuota, priva di nobili propositi e valori per cui lottare, in cui vige una sensazione di straniamento dalla realtà.

 

Si tratta, in parole semplici, della morte dell’umanesimo. Non possiamo più comprendere cosa succede attorno a noi, non si ha più fiducia nelle nostre e nelle altrui capacità e intenzioni. Abbiamo l’impressione che le cose accadano al di fuori della nostra volontà e della nostra portata. Inutile tentare d’impugnare la situazione, noi esseri piccoli e impotenti non possiamo che sperare e cercare di evitare il peggio. Facciamo il nostro dovere, compiamo tutti i rituali quotidiani, senza troppo eroismo e slanci di coraggio.

 

È partendo da questo immaginario, di esseri inutili e spaventati, che troviamo una nuova identità. Siamo pronti a risorgere nell’aldilà, manifestando impulsi emotivi illogici, rispondendo a nuovi istinti. Potremmo scoprirci demoni, ombre, entità sfuggenti. Essere ostili, biechi o animaleschi.
Alieni. Alieni a noi stessi.

Francis Upritchard - opera Marianne
Dettaglio d’opera “Marianne”, una delle entità misteriose create da Francis Upritchard. Biennale 2017.

Note

1 Cfr. Francesco P. Di Teodoro e Giorgio Cricco, Itinerario dell’arte, volume 1, ed. Zanichelli, Bologna, 1996, pp. 4-6
2 Cfr. Giovanni Pettinato, Mitologia Sumerica, ed Utet, Torino, ebook, 2001
3 Giovanni Pettinato (a cura di), I miti degli inferi assiro-babilonesi, ed. Paideia, Brescia, 2003
4 Federica Natta, L’inferno in scena – un palco scenico visionario ai margini del Mediterraneo, ed. Falsopiano, 2013, Alessandria, pag. 14
5 Cfr. Claude Traunecker, Gli dei dell’antico Egitto, traduzione di Italo Sordi, ed Xenia, Milano, 1994, p. 22-96


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Chiara
Punk di formazione, da sempre si occupa di arte contemporanea e controculture.
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