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COLLATERALI

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OH STREET ARTIST, DOVE SEI?

Se fossi uno street artist e ritrovassi il tuo murales in un museo?

Susanna Luppi14 Maggio 2018

Essere colti in flagrante, armati di bomboletta e mascherina, può essere un problema. Chi non lo sa meglio degli street artist?

La grafica su muro praticata da writers e street artist da sempre in bilico tra legalità e illegalità, si trova oggi a sconfinare anche nel complesso mondo delle mostre.

È “cosa buona e giusta” trasformare la Street Art in “galleria d’arte” o, ancor peggio, trasportarla nel dominio museale?

Saranno proposti alcuni avvenimenti verificatisi in ambito europeo e mondiale in cui l’arte di strada si è scontrata con diverse problematiche.

 

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Muro di Berlino, particolare, aprile 2013

REALTÀ URBANA: UN MONDO CONTROVERSO

La Street Art è una forma d’espressione creativa che si rifà ad una sottocultura di matrice statunitense generatasi “in strada”. Essa si articola principalmente nel “paesaggio urbano”, ne segue rispettosamente i cambiamenti – deterioramento compreso – e, fattore decisivo, è rivolta a tutti.

Del resto, a chi non dispiacerebbe vedere un po’ di colore su estese pareti offuscate da smog e logoramento?

Purtroppo, dai suoi esordi fino ai giorni nostri, la Street Art ha sempre dimorato in una sorta di limbo tra accettazione e rifiuto; un rifiuto fin troppo aspro da parte di chi la considera mera ed illegale pratica da “imbratta muri” a cui fa da contrappeso l”attenzione cerimoniosa rilanciata da “chi di arte se ne intende”.

Questa è l’enigmatica dimensione in cui la street art dispiega le sue ali per poi richiuderle dietro ad una “tallonante” incomprensione.

 

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 Berlino, zona muro, aprile 2014

IL CASO BLU

Che l’essenza della Street Art sia vittima di incomprensione è un fatto conclamato. Da quando il mercato dell’arte ha iniziato a interessarsi alle opere murarie la situazione non ha fatto che aggravarsi. A dimostrarlo in modo eclatante è BLU, street artist di origini bolognesi da anni noto a livello mondiale. Prima a Berlino (2014), poi a Bologna (2016) BLU ha estinto le sue opere principali con una mano di grigio – proprio quelle che ne contraddistinguevano lo scenario urbano tra le “capitali” della controcultura.

Guardiamo ora i due avvenimenti un po’ più da vicino, chiudendo l’ombrello che permea il nostro viso dalle intemperie e provando a sentirle direttamente sulla pelle.

 

BATTERSI ATTRAVERSO L’ASSENZA

Nella notte tra l’11 e il 12 dicembre 2014 i murales noti come “Chain” e “Brothers” – ormai connotati identitari della capitale tedesca – sono stati cancellati dal loro autore.

Cosa ha spinto BLU a intraprendere un’azione tanto forte da convergere nell’autodistruzione?

L’area sui cui sorgevano le due opere murarie era di fatto prossima ad un’azione di riqualificazione. Nel progetto era compresa la ristrutturazione della zona ospitante Curvybrache, una piccola comunità autonoma e autogestita occupata da creativi e senzatetto provenienti da tutto il mondo.

La reazione di BLU implica così una netta presa di posizione: come spiega nel suo blog, l’artista ha voluto esternare la sua protesta verso la conversione dell’area, che avrebbe implicato la vittoria del “commerciale” sulle ceneri di luoghi come Curvybrache.

 

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Chain, BLU, Berlino (cancellato)

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Brothers, BLU, Berlino (cancellato)

IL GRIGIO DIPINTO DI BLU

Bologna, notte tra l’11 e il 12 marzo 2016. Ennesima azione estrema da parte dello street artist.

Tutte le opere disseminate per la città hanno subito la stessa sorte delle loro “consanguinee” berlinesi: la dissoluzione dietro una mano di grigio.

Iniziativa clamorosa che ha raggiunto il parossismo ai piedi di La Battaglia – dipinto più conosciuto e situato sulle pareti del centro sociale Xm24 – con il raduno di una piccola folla a sostegno degli “imbianchini” le cui distese di vernice grigia si muovevano sulle note della Banda Roncati.

Il perché di tutto questo?

I ringraziamenti spettano alla “loggia” dei potenti, definita anche “loggia massonica zamboni” in cui spicca il nome di Fabio Roversi Monaco. Quest’ultimo, è il patron della mostra Street Art. Bansky & Co. – L’arte allo stato urbano in cui, tra le varie, sarebbero state esposte opere prelevate dai muri della città. A giustificare un atto così invasivo è il proposito di “salvaguardare” l’arte urbana dal decadimento dovuto ad agenti atmosferici e possibili demolizioni. Asserzione che, dietro alle quinte, vede i magnati dell’arte appropriarsi indebitamente di ciò che è nato in strada ed alla strada è destinato; se il primo grande problema risiede nel fatto che a nessun artista era stata chiesta l’autorizzazione e tantomeno il consenso relativamente al “partecipare alla mostra”, atto ancora più grave è stato quello di voler trasformare la Street Art in un “pezzo da museo”, privandola dell’anima e alterandola in forma d’arte élitaria, dunque per “pochi” – coloro che visitano la mostra e pagano il biglietto.

 

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La Battaglia (in fase di cancellazione), BLU, marzo 2016, Xm24, Bologna

L’avvenimento sconvolse anche il collettivo Wu Ming che, schierandosi dalla parte dell’artista non risparmiò il fiato:

 

La mostra Street Art Bansky & Co. è il simbolo di una concezione della città che va combattuta, basata sull’accumulazione Privata e sulla trasformazione della vita e della creatività di tutti a vantaggio di pochi.

Dopo aver denunciato e stigmatizzato graffiti e disegni come vandalismo, dopo avere oppresso le culture giovanili che li hanno prodotti, dopo avere sgomberato i luoghi che sono stati laboratorio per quegli artisti, ora i poteri forti della città vogliono diventare i salvatori della Street Art.

 

BLU, da parte sua rilascia un commento conciso e risoluto – ma pieno di amarezza – sul suo blog; un commento che ora non si può più leggere poiché, come accade alle opere su muro, si estingue piano piano col passare del tempo.

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BLU, web blog, marzo 2016

PARIGI, “DOVE L’ARTE SI FA MESTIERE”

Lo storico polo parigino noto come La Cité Internationale Universitaire è riuscito a strabiliare gli occhi del mondo.

In occasione del festival Rheab 2, una residenza per studenti – la maison des Artes et Métiers – ubicata nel complesso della Cité, si è trasformata in una galleria d’arte pubblica. L’iniziativa ha coinvolto 100 street artist che, in sole tre settimane, hanno dato vita a un luogo “magico” in cui colore e immaginario teletrasportavano lo spettatore in una dimensione in grado di sfidare le leggi della fisica.

 

Dato positivo è stato soprattutto l’approccio nei confronti dell’arte su muro: la galleria della Cité ha avuto vita breve – solo un mese – poiché erano previsti lavori di ristrutturazione in vista dell’imminente anno accademico al termine dei quali tutte le opere sarebbero state cancellate.

 

Una mostra pubblica e temporanea che, nel complesso, pare proprio rispettare la natura della Street Art, per cui i dipinti su muro possono essere fruibili da chiunque e, soprattutto, seguono fino in fondo il destino della parete che li ospita nel corso del tempo.

 

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 La Cité Internationale Universitaire, giugno-luglio 2017, Parigi

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 La Cité Internationale Universitaire, giugno-luglio 2017, Parigi

NEW YORK: LA VITTORIA DI 5POINTZ

 Long Island City, New York, 2017.

Il 5Pointz ha vinto!

Per quale causa? Torniamo indietro di qualche anno.

Il 5Pointz è un magazzino di cinque piani che si estende per quasi un isolato nel quartiere di Long Island City, a New York.

 

Fino a cinque anni fa lo stabile era ricoperto da graffiti figli della mano di 21 street artist che dagli anni novanta operavano nella scena underground della città. I proprietari David e Jerry Wolkoff non erano intervenuti, dimostrandosi quasi collaborativi – tanto che Jonathan Cohen, in arte Meres One, aveva assunto volontariamente il ruolo di coordinatore artistico. In brevissimo tempo, il 5Pointz era divenuto – oltre che meta turistica – un importante luogo di ritrovo per artisti di strada, un’ambita location di film, show televisivi, sfilate, concerti, e celebrazioni in genere: insomma, un nuovo simbolo di New York.

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Purtroppo, l’incantesimo si è rotto quando i Wolkoff hanno reso note le loro reali intenzioni, ovvero di convertire 5Pointz in edificio residenziale di lusso – tutto questo, previa demolizione.

La prima risposta forte è scaturita da Meres One che, nel tentativo di elevare il magazzino a monumento della città, ha lanciato una campagna con raccolta fondi – al cui sostegno si è esposto perfino Bansky. Ma l’esito è stato fallimentare.

Ed ecco il fatto: in una sola notte – novembre 2013 – i Wolkoff “hanno ordinato il funerale” di 5Pointz facendolo interamente ricoprire di vernice bianca.

Col susseguirsi di amare proteste da parte degli artisti – che si sentivano brutalmente violentati – il fatto è approdato in tribunale.

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In superficie, pare trattarsi della battaglia per la rivendicazione di due diritti: quello del proprietario che può disporre degli edifici a suo piacimento, ed il diritto degli street artist di preservare le proprie opere secondo il Visual Artist Rights Act del 1990.

Di fatto, si è pienamente nella dimensione della Street Art, sempre in bilico sul filo che separa legalità ed illegalità e che, purtroppo, è di difficile gestione per l’odierno sistema giudiziario.

Finalmente, al termine del 2017, la corte federale ha emesso la sua sentenza: l’atto piuttosto sconsiderato dei Wolkoff è stato ritenuto “ingiusto”, almeno fin quando i proprietari non avessero legalmente ultimato le pratiche per la trasformazione dell’edificio.

Ora, se la dovranno vedere con gli artisti, ai quali spetta un risarcimento di 6.7 milioni di dollari. Un conto decisamente salato ma, del resto, che prezzo può avere l’immaginario di una città?

 

 


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Susanna
  • OSSERVATORIO DECODE

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    Anno di pubblicazione / 1919

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