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INTERVISTA AD ABOUT PONNY, LEGGENDA DELLA STENCIL ART

Street Art vecchia scuola

Chiara Righi5 Settembre 2024

About Ponny è il nickname dietro il quale si nasconde uno dei più grandi stencil artists italiani. Anonimo, veloce e silenzioso, colpisce le superfici urbane da oltre vent’anni. Di lui si sa poco o nulla ma, grazie alle sue parole, oggi possiamo scoprire qualcosa in più del suo mondo poetico e furtivo.

Con la collaborazione di Caterina Tomaello Salvi, artista e studiosa di arte contemporanea, e Ilaria Iannolo, fotografa, ho avuto l’onore di raccogliere la testimonianza di uno dei personaggi più misteriosi della Street Art italiana.

Stencil di About Ponny

About Ponny, opera realizzata a Massa Lombarda (RA), 2024. 

 

 

Il nome “About Ponny” è molto particolare, raccontaci qualcosa a proposito di Ponny. Chi è? Un tuo alterego?

 

About Ponny sembra un nome strano, fiabesco, particolare, ma in realtà non significa nulla. È un nome che nasce per errore, scherzando con un amico. È semplicemente un’incomprensione che è nata tra me e lui.

Ti dico la verità, non mi è mai piaciuto moltissimo, però una volta iniziato è difficile cambiare nome, anche perché mi sembrerebbe di tradire il gioco che c’era tra me e il mio amico.

 

 

 

Hai una formazione artistica? Come ti sei avvicinato all’arte?

 

Non ho una formazione artistica, ho una specializzazione in conservazione dei beni culturali e per paradosso imbratto i muri!

 

 

 

Lavorare in strada è molto diverso che esporre una tela in galleria. Non ti rivolgi a collezionisti ma a chiunque passi nei dintorni. Come mai hai scelto la strada?

 

Io sono nato dalla strada e non ho una preparazione accademica. Il mio è nato come gioco, come trasgressione e direi anche come fissazione. Prima di iniziare a dipingere mi ritrovavo ad andare in giro a caccia di Street Art. Ho fatto tanti viaggi così, poi una volta mi sono detto: “Ma perché non provare?” e da lì ho iniziato.

 Ho lavorato anche per le gallerie, è una conseguenza che è arrivata da sola, così come i primi lavori su commissione. In realtà, la firma che utilizzo è la stessa ma il modo di lavorare è molto diverso. Io li considero proprio due pratiche e due artisti separati tra di loro. La strada non ha nulla a che vedere con la galleria. È diverso l’approccio, le emozioni, gli odori, è proprio un’esperienza completamente differente.

Ormai sono vent’anni che dipingo in strada, sento questo bisogno innato di esprimere qualcosa. Nella quotidianità faccio un lavoro dove ci sono molte regole ferree, che è molto schematico, quindi probabilmente ho un bisogno di trasgredire. Per la mia esperienza e per la gente che conosco, noi Street Artists siamo tutte persone tranquille e insospettabili: c’è il direttore di banca, il libero professionista, il responsabile d’azienda. Però abbiamo un alterego e la notte ci mettiamo il cappuccio e andiamo a disegnare.

L’ha detto anche Picasso: “Lo scopo dell’arte è lavare via la polvere della vita quotidiana dalle nostre anime”.

Stencil di About Ponny

About Ponny, stencil realizzato a Massa Lombarda (RA), 2024. 

 

 

La tecnica dello stencil ti caratterizza particolarmente, è quella a cui sei fedele da anni. Richiede una lunga elaborazione in studio ma ti permette di avere un’esecuzione velocissima in strada. Cosa ti spinge a scegliere questa tecnica?

 

Se dicessi che non sono bravo a disegnare direi una bugia, però lo stencil mi dà quella sicurezza per cui mi sento quasi protetto nella mia attività notturna e in brevissimo tempo riesco a produrre risultati sorprendenti. C’è un contro, ovvero la lunga preparazione in studio.

Io faccio sempre dai 3 a massimo 5 layer (livelli). Ci sono artisti che sono fanatici dei layer, che ne sovrappongono anche 10 o12: se ne fai così tanti ti perdi negli strati, nella carta, nei ritagli, diventa veramente snervante perché passi mesi a tagliare e non disegni mai. In questo modo si ottiene una precisione quasi fotografica, che a me non piace.

I miei lavori partono sempre dalla cornice, cioè dal luogo in cui andrò a fare il disegno: io sono tormentato dalle superfici. Quando giro in strada e vedo una cabina della luce, o uno sportello di un contatore dell’acqua, subito penso a cosa potrei disegnarci. Dopo a casa rifletto, cerco le immagini online, penso a quella che potrebbe adattarsi a quel contesto, a quella situazione. È il tessuto urbano che mi tormenta. Non trovo altra parola, sono tormentato.

 

 

 

 

I tuoi soggetti sono spesso volti di persone, colti in momenti particolarmente espressivi. Sono pensierosi, commossi, concentrati, soddisfatti: riescono a instaurare immediatamente una connessione emotiva con i passanti. Come mai scegli questi soggetti? Quale compito comunicativo affidi ai volti?

 

Io ho iniziato, come molte persone che fanno stencil, per caso a creare volti; ma c’è anche una spiegazione tecnica: i tagli della carta si adattano perfettamente a quello che sono le rughe, i capelli, il fluire di una barba. Quindi ho iniziato per caso facendo volti e allo stesso tempo ho ricevuto i primi consensi. La fase successiva è stata quella di dare un’espressività, catturare in un’immagine un sentimento.

Dopodiché le cose cambiano, si evolvono. Negli ultimi anni ho riscoperto il piacere di dipingere le figure umane accompagnate ad un’azione. Una persona che legge, una persona che cammina, una persona che ride: insomma, la figura umana intera colta in un’attività.

Non sempre nella mia arte ci deve essere un significato nascosto. Una figura mi colpisce, spesso a livello inconscio e non so perché mi piace, però sento il bisogno di riprodurla e disegnarla.

Ad esempio, ho fatto il disegno di una bambina che guarda da un angolo, in via Mascarella a Bologna. Questa bambina io non so chi sia perché è un’immagine presa online, però appena l’ho vista ho pensato che dovevo disegnarla a Bologna, in quell’angolo lì… ma non sapevo perché! Poi, mentre la realizzavo, ho capito che quella bambina ero io. Infatti, quando ero piccolo, mia mamma mi portava a trascorrere il periodo estivo a casa di una zia di Bologna. Io ero un campagnolo, abituato al centro sociale di periferia, alla campagna e al prato: quando andavo a Bologna per me non era una roba comprensibile, perché c’erano tante macchine, tanta gente, tanto caos. Mi affacciavo dalla porta intimorito, proprio come quella bambina sbircia dall’angolo. Quindi io sono stato subito attratto da questa immagine, poi ho realizzato mentre la facevo perché ho scelto quel disegno lì. Quest’opera l’ho chiamata Summer Holidays, vacanze estive.

In genere sono negato a dare i titoli ai miei disegni: chi dà il nome ai miei pezzi sono gli spettatori. Io faccio un disegno e poi ascolto: arriva la persona che dà il titolo alla mia opera. Non sempre è così, a volte lo do io, ma succede spesso.

About Ponny in via Mascarella a Bologna

About Ponny, “Summer Holidays”, via Mascarella, Bologna.  

 

 

Mi colpisce la scelta delle superfici su cui decidi di realizzare il tuo lavoro. Queste immagini emergono ai margini della città, in mezzo alle tag di altre persone, tra le erbacce, negli angoli degli arredi urbani. Perché questa scelta della marginalità? Come mai le tue opere vivono in questi angoli nascosti?

 

Come dicevo prima, io parto sempre dalla superficie: tu mi puoi dare la tela più bella del mondo ma è facile che non mi dica niente. Il lavoro parte sempre dalla cornice in cui inserirò il disegno: ogni cornice ha il pezzo giusto per lei. Se non trovo la cornice giusta, piuttosto non disegno.

Mi sono accorto che dipingo sempre dove ci pisciano, dove c’è sporco e dove c’è la parietaria (una piantina urbana che nasce tra il cemento, se tu guardi vicino a un muretto c’è quasi sempre). Io dipingo spesso in ginocchio, metto gli stencil ad altezza parietaria. Quindi dove ci sono le erbacce e lo sporco: non a caso ho intitolato il mio libro Altezza parietaria[1].

Forse nella mia coscienza, sapendo che vado ad arrecare un degrado, il contesto che scelgo deve essere già consumato dal tempo, già sporco. Il mio disegno su una tela bianca fa schifo, su un muro bianco fa schifo: ho bisogno di una texture, un tessuto, una scritta, una ruggine, che mi faccia da sfondo. Ho bisogno di una superficie vissuta.

Roma. Villaggio globale. Street art by About Ponny

About Ponny, opera realizzata al Villaggio Globale, Roma. Foto di .

 

 

So che hai lavorato e frequentato le Officine Meccaniche Reggiane, fabbrica dismessa considerata uno dei luoghi simbolo della Street Art italiana. Com’è stato lavorare in questo ambiente?

 

Io ho imparato a disegnare alle Reggiane. La prima volta che ho scavalcato quel muro l’ho fatto in solitudine, anzi, con la mia morosa che mi ha maledetto! Poi lì ho preso coscienza del fermento suburbano che circonda questo mondo: ho conosciuto i primi artisti, ad esempio Simone del Collettivo FX, Rhiot, Bibbito, Pepe, Reve+ e altri. Mi sono confrontato con loro e alle Reggiane ho sperimentato tantissimo, ho imparato a dipingere velocemente, senza paura che mi beccassero o che il pezzo venisse male, perché erano un porto abbandonato.

C’era un carico di storia ed umanità impressionante, mille problemi che si connettevano, collimavano e si mischiavano. Là dentro ho conosciuto persone meravigliose che hanno perso tutto e delinquenti, perché c’era tanta immigrazione e passava chiunque. Ho conosciuto anche tanti artisti che venivano dall’estero per dipingere alle Reggiane. Lì mi sono confrontato, ho scambiato idee, quindi posso dire che sono state un tassello fondamentale del mio essere artista.

 

 

 

Se dovessi scegliere un lavoro a cui sei particolarmente legato, quale sarebbe? Ce lo racconti?

 

In un certo senso sono legato un po’ a tutti i lavori, perché li creo, passo tante ore in studio e sono un po’ tutti i miei figli. Alcuni amici applicano lo stencil e poi lo buttano, io invece ho un garage in affitto, che pago profumatamente, ricolmo di tutti i miei lavori. Li conservo tutti piegati bene e ho ancora il primo stencil che feci, che può essere utilizzato come nuovo.

Quindi ripeto, sono tutti miei figli e ci sono tanti lavori a cui sono molto affezionato. Magari posso raccontarti questo: feci un pezzo con tre ragazzini che bevono, sono nella fase dove ti prendi le prime sbornie, quindi bevono da queste tazze in cui c’è il simbolo della morte, del nocivo. Si chiama Acid Corner ed è dedicato ai miei amici d’infanzia. Quelli con cui cresci giorno e notte, che anche se le vostre strade a un certo punto si dividono rimane un cordone ombelicale che vi connette. Ho fatto questo pezzo alcuni anni fa per il compleanno di uno di loro che è appassionato d’arte. Sanno relativamente da poco che dipingo, perché è una cosa che ho sempre tenuto riservata (anche in famiglia lo sanno in pochissimi, mia sorella e poco più).

Questo è uno dei pezzi che tengo nel cuore più di altri, perché è legato a loro.

 

 

 

Roma. Testaccio. Street art by About Ponny

About Ponny, “Acid Corner” (versione senza simboli della morte), Roma, zona Testaccio. Foto di 

Roma. Testaccio. Street art by About Ponny

About Ponny, Roma, zona Testaccio. Foto di .

Stencil di About Ponny

Firma di About Ponny realizzata con doppio layer. 

 

 

 

Ringraziamo About Ponny per la simpatia e il tempo che ci ha dedicato!

Vi invitiamo a seguirlo sui suoi social: facebook e instagram.

 

 

 

 

 

[1] Libro autoprodotto da About Ponny in collaborazione con Matteo Bidini.


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Chiara
Punk di formazione, da sempre si occupa di arte contemporanea e controculture.
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