Giuseppe Penone ha affermato che “Essere scultore è essere fiume”. Il suo rapporto con la natura è quello dell’osmosi, la fusione totale.
Ho voluto scrivere questo articolo dopo aver ritrovato gli appunti di una conferenza di Gianfranco Maraniello tenutasi a Modena nel 2016[1], che in quell’occasione spiegò magistralmente la poetica di uno dei principali protagonisti dell’Arte Povera. Ho tratto ispirazione dalle sue parole per fare un punto della situazione sul senso dell’opera di Giuseppe Penone e il suo rapporto con l’ambiente naturale.
Un artista contro
Siamo soliti pensare che l’artista costruisca degli oggetti. Giuseppe Penone li decostruisce.
Siamo soliti credere che un artista inizi un’opera sapendo ciò che vuole comunicare. Giuseppe Penone non ne ha idea.
Pensiamo che un artista cerchi l’immortalità della sua opera. Tante opere di Giuseppe Penone sono già scomparse.
Stiamo parlando di un autore davvero particolare, che invece di produrre opere, si nasconde nella natura.
Giuseppe è un artista contro. Quando negli anni sessanta s’iscrive all’Accademia di Belle Arti di Torino, fa suo il clima culturale di contestazione politica dell’epoca, che non l’ha mai abbandonato. In opposizione alla società capitalista, decide di smettere utilizzarne i prodotti del mercato e di produrre oggetti per il mondo del consumo. Invece che dedicarsi alla costruzione di un surplus culturale e materiale, si rivolge a esperienze come il teatro povero di Grotowsky, votato all’eliminazione del superfluo.
I suoi sono oggetti in meno[2]: coltiva una ricerca verso l’origine, verso ciò che sta prima del manufatto. Questa sua attrazione lo rende fin da subito uno dei principali artisti del movimento italiano che Germano Celant chiamò Arte Povera. Gli artisti di questa corrente sono caratterizzati dalla coscienza politica anticapitalista che li porta verso processi di destrutturazione e all’utilizzo di materiali non tradizionali, spesso naturali, come il legno grezzo, la pietra, la pece, la terra, l’acqua e i metalli. Per Giuseppe Penone, la scelta dei materiali ha un ruolo particolarmente importante poiché hanno sempre una funzione simbolica all’interno dell’opera. In particolar modo, l’autore è attratto dalla materia viva, biologica, dall’ambiente naturale, con cui tenta una continua fusione.
Installazione di due opere di Giuseppe Penone al Castello di Rivoli (To). “Respirare l’ombra” è un rivestimento delle pareti creato con foglie si alloro del 1999, e “Soffio di creta H” è una scultura di creta pensata con la modalità dei soffiatori di vetro, del 1978. Entrambe le opere si fruiscono attraverso il respiro e portano la natura dentro di noi, grazie al profumo degli alberi e della terra.
Fondersi con la natura
Nonostante l’artista abbia toccato diverse tematiche, gli argomenti a lui più cari sono principalmente tre: la relazione uomo-ambiente, la memoria della natura e il corpo.
L’interesse per l’ambiente naturale lo troviamo sin dal suo primo lavoro rilevante, ossia Alpi Marittime, una serie di azioni del 1968. Si tratta anche del suo primo intervento in un bosco (Bosco di Garessio, in Piemonte). Qui, come in molti altri suoi lavori, il suo interesse gravita intorno all’impatto dell’uomo sulla natura e alla concezione dello sviluppo biologico come materia plastica. In altre parole, stiamo parlando di dominio e manipolazione.
Tra le varie operazioni che compie, impone a un albero la stretta causata dal calco della propria mano: lascia l’impronta di un suo gesto sul tronco di un albero, monitorando poi la crescita della pianta. Osserva così che la memoria degli alberi conserva il ricordo del gesto, modificando la propria struttura. La pianta ha infatti smesso di crescere in quel determinato punto in cui la presa dell’artista ha causato una pressione prolungata, sviluppandosi attorno al calco.
Penone ha quindi realizzato un gesto fondante che ha dato l’avvio a un processo di crescita alterato. Le sue sperimentazioni iniziano dunque relazionandosi con la natura attraverso la manipolazione di questa, imponendo su di lei la sagoma del suo corpo.
Giuseppe Penone, “Alpi marittime – la mia altezza, la lunghezza delle mie braccia, il mio spessore in un ruscello” 1968. L’artista realizza un calco di cemento con la sagoma del suo corpo e lo immerge in un ruscello, creando un corpo d’acqua analogo al suo.
Successivamente, l’artista ha sviluppato una relazione di osmosi con l’ambiente, che sembra consultare alla ricerca di se stesso. Non a caso già nel ’70 realizzò Rovesciare i propri occhi, un’opera che si rivelerà un manifesto di tutta la sua poetica futura. Allora, il giovane artista aveva indossato delle lenti a contatto a specchio: l’artista si annullava e portava il mondo dentro di sé. Cercava una simbiosi con l’ambiente che lo circondava.
Non a caso, oggi le sue opere sono spesso da cercare tra giardini, boschi e lande poco battute; non saltano all’occhio ma si integrano nel paesaggio, modificandosi insieme ad esso.
Successivamente, l’artista inizia ad identificarsi con la natura stessa. Pensiamo, ad esempio, all’opera Essere fiume, in cui l’autore si finge un corso d’acqua e lavora le pietre imitandone il naturale processo di erosione. In quest’operazione, si è dedicato a riprodurre nei minimi particolari le forme di alcune pietre levigate nei fondali di un fiume piemontese.
Questa non è l’unica opera in cui s’identifica con questo elemento naturale. Pensiamo ad esempio a Disegno d’acqua, del 2003-2007, visibile presso la Reggia di Venaria, nel Giardino Delle Sculture Fluide. In una vasca di granito nera, tantissime bollicine fanno affiorare sull’acqua il disegno di un’impronta digitale enorme, presumibilmente dell’artista. Il simbolo della sua unicità più irripetibile viene prestato all’elemento naturale, che ne diventa la sua personificazione. La natura diventa individuo e l’individuo si fa natura.
Giuseppe Penone, “Disegno d’acqua”, 2003-2007, Giardino delle Sculture Fluide, Reggia di Venaria (To).
Le opere in cui Giuseppe Penone cerca di fondersi con la natura sono ancora molte ma vorrei soffermarmi su una delle serie che ritengo più belle. Sto pensando alle sue ricerche sui tronchi degli alberi, che iniziano nel 1969 e non si sono mai concluse, tornando ciclicamente.
Sotto la corteccia dell’albero, l’artista cerca di ritrovare se stesso e la sua pelle: vedendo le cortecce rugose non possiamo fare a meno di pensare al nostro fisico invecchiato, confrontate con tronchi lisci e minuti, metafora di un’infanzia lontana.
Gianfranco Maraniello, durante la conferenza intitolata “Nell’atelier di Giuseppe Penone[3]”, afferma che nel lavoro dell’artista ci siano alcuni archetipi che tornano sempre: la pelle, la linfa e la colonna vertebrale. Tutto ciò è palese quando mostra i tronchi d’albero scorticati, in cui gli anelli legnosi somigliano alle stratificazioni di tessuti cutanei. Oppure quando utilizza la tecnica della dietrologia partendo da lastre di legno industriali: ricerca i punti in cui l’albero originario aveva sviluppato i rami, poi scava in modo da riportare alla luce la piccola pianta in fase di crescita, così com’era tanti anni fa. Scavando di anello in anello, regredisce anno per anno, lasciando emergere l’immagine della vita passata, quella dell’albero sacrificato che si cela dietro l’oggetto.
In questo modo Penone ha rivoluzionato l’idea di scultura, ricavando la memoria dell’albero immolato, il ricordo conservato dalla natura.
Quando Giuseppe Penone buca le cortecce, scava nella terra, modella le rocce, ricerca un’allegoria del corpo umano, di ciò che si nasconde al di fuori e dentro di noi. Ci ricorda che facciamo tutti parte di un ecosistema, che rievoca anche con la scelta stessa dei materiali. Pensate, infatti, che alle volte ricalca la corteccia-pelle degli alberi con il carboncino (materiale che nasce proprio dalla degradazione del legno) e inserisce nel disegno frammenti di cristallo (pietra che si forma all’interno del carbone). Ricrea quindi un ecosistema naturale nell’opera d’arte e ci ricorda che la nostra pelle ne fa parte. Proprio come un albero, il nostro corpo nasce, muore e si ripresenta nel mondo attraverso un processo di metamorfosi.
Insomma, nell’opera di Penone l’antropocentrismo è definitivamente abolito. È necessario “essere fiume” per riuscire ad essere umani.
Giuseppe Penone, “Albero Folgorato”, 2012. Foto di Dave.
Forse può interessarti anche il pensiero di Michelangelo Pistoletto, altro grande protagonista dell’Arte Povera. Lo puoi trovare all’articolo “La formula della creazione di Pistoletto“.
[1] Conferenza di Gianfranco Maraniello intitolata “Nell’atelier di Giuseppe Penone”, Festival “Impara l’arte. Introduzione alla ricerca contemporanea”, venerdì 12 febbraio 2016, Auditorium Biagi, Modena.
[2] “Gli oggetti in meno” è il titolo di una mostra di Michelangelo Pistoletto del 1965-66, considerata fondamentale per lo sviluppo dell’arte povera.
[3] Conferenza di Gianfranco Maraniello intitolata “Nell’atelier di Giuseppe Penone”, Festival “Impara l’arte. Introduzione alla ricerca contemporanea”, venerdì 12 febbraio 2016, Auditorium Biagi, Modena.
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Punk di formazione, da sempre si occupa di arte contemporanea e controculture.