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INTERVISTA A EMEID: DALL’ INTROSPEZIONE ALL’OPERA

Dietro al murales

Chiara Righi21 Ottobre 2024

Andrea Ranieri, in arte Emeid, è un muralista italiano che porta nelle strade opere affascinanti e profonde. Dallo sfondo scuro emergono mani che si intrecciano, volti incupiti, occhi solcati da profonde occhiaie: sono immagini che nascondono riflessioni sulle relazioni e il comportamento umano.

In compagnia di Caterina Tomaello Salvi, artista e studiosa di arte contemporanea, ho incontrato Emeid a Bologna. Lì ci ha raccontato di un approccio all’arte particolarmente introspettivo e riflessivo.

Truccato 2020 Ortona (CH)

Emeid, “Truccato”, 2020, Ortona a Mare. Courtesy l’artista.  

 

 

Da dove è nata l’esigenza di esprimersi in strada, attraverso i murales?

 

È avvenuto in modo molto naturale. L’approccio a questo mondo l’ho avuto perché ho iniziato a ballare break dance negli anni 2000 con i Rapidi sul marmo, di conseguenza mi sono avvicinato anche al mondo dei graffiti in quegli anni. Ricordo però che già nel ’98, prima di iniziare a ballare, partivo con la bicicletta e andavo dall’altra parte della città a copiare i disegni che vedevo sul muro dello stadio di Ortona su un blocchetto, quindi probabilmente avevo già qualcosa che mi legava a quel mondo.
Una motivazione ben precisa non saprei dirtela, sicuramente ho bisogno di esprimere qualcosa. Questa esigenza è talmente forte che esprimermi su un muro mi dà come la possibilità d’interagire con un pubblico, posso condividere il mio pensiero con più persone contemporaneamente e anche un po’ a lungo termine. Penso che questo possa essere un motivo valido.

 

Emeid ad Ortona

Emeid, “Frustration”, 2021, Ortona. 

 

 

 

Guardando i tuoi lavori si nota subito che la tua attenzione è incentrata intorno all’essere umano. Spesso si tratta volti enormi oppure ingrandimenti di dettagli del corpo. Come mai l’esigenza di indagare su questo soggetto?

 

A livello estetico mi piace disegnare dei dettagli del corpo umano, ad esempio, ultimamente sono molto fissato con la rappresentazione delle mani. Non c’è un motivo, è più una ricerca personale a livello tecnico. Probabilmente proprio perché è molto difficile disegnarle, diventa una sfida personale che mi porta a migliorare, a studiare la mano, le luci e le ombre, le rughe. Mi costringe a metterci un impegno maggiore che mi porta a un miglioramento tecnico. Mi piace molto osservare i dettagli, il cambio di luce leggera che si genera all’interno di un elemento che vado a dipingere: sono cose a cui faccio attenzione.

 

Penso che ogni artista esprima quello che ha dentro. La mia ricerca parte sempre da una teoria, delle riflessioni che faccio con me stesso, soprattutto a proposito delle relazioni umane. Ad esempio, quando viaggio sto in silenzio e penso, penso. Qualsiasi concetto o verità su cui mi soffermo, cerco di sintetizzarla in un’immagine: è così che nasce la prossima opera.
Le mie riflessioni sono incentrate soprattutto sui problemi umani e caratteriali, sia miei, sia degli altri, tendenzialmente vado ad accentuare i sentimenti negativi che si provano, preferisco farli emergere invece che nasconderli. Realizzo delle opere che magari parlano di relazioni finte tra persone, oppure mostrano la frustrazione, che è un sentimento molto diffuso ma che poche persone fanno vedere.
Credo che tante volte sia più importante evidenziare i propri difetti, le cose che non vanno, invece che mostrarsi perfetti, poiché nascondere i lati negativi comporterebbe non combatterli. Solo accettando e affrontando i nostri difetti potremo migliorare.

Per questo motivo difficilmente rappresento qualcuno che sorride, un fiore o una bimba che gioca. Siamo talmente assuefatti da queste immagini spensierate, soprattutto oggi giorno con i social, che sembra scontato che dobbiamo sentirci così. Ma in realtà non è per nulla vero, viviamo tante problematiche che vanno affrontate.

Emeid Nina

Emeid, “Nina”, 2020, via del Pratello, Bologna. 

 

 

 

Da quello che dici sembra che fare arte sia terapeutico, è così?

 

Per me lo è! A volte penso che la pittura sia il mio psicologo. Affrontare i problemi attraverso l’arte è come se mi aiutasse a fare una riflessione maggiore, più aperta, aiutandomi a capire anche il punto di vista degli altri.
È molto terapeutico perché mi metto in discussione. Anche il solo fatto di doversi sempre perfezionare a livello tecnico, all’infinito, senza che ci sia mai una fine, mi fa capire che si può sempre crescere. Questo pensiero lo rifletto sulla psiche delle persone: si può sempre migliorare.

Insomma, dipingere diventa come una seduta dallo psicologo, ma con me stesso.

 

 

 

Come scegli i tuoi soggetti? Parti da un riferimento fotografico scattato da te o da altri?

Diversi anni fa facevo ricerca su Internet e utilizzavo molti soggetti trovati su Google, solo ogni tanto partivo da foto mie. Invece da un po’ di tempo a questa parte utilizzo solo scatti miei (a meno che non si tratti di una commissione in cui mi danno un’immagine, ovviamente).
Sono attento alla scelta delle luci, per creare effetti di chiaro-scuro. Faccio tanti scatti, poi scelgo quello che più mi ispira e a volte utilizzo Photoshop per fare delle leggere modifiche. Alla fine mi rimane un’immagine di riferimento per realizzare il lavoro.

 

 

 

Sei un importante esponente del muralismo italiano odierno. Mentre tanti street artists scelgono di affrontare argomenti di attualità, i tuoi lavori sembrano nascere da tue riflessioni molto intime e personali. Queste riflessioni vengono poi portate in formato norme e condivise nello spazio pubblico.

Credi che l’interiorità debba diventare oggetto d’interesse pubblico?

 

Perché no? Penso di affrontare delle tematiche che riguardano tutti, nel senso che il sentimento è di tutti; sia buono, sia cattivo, lo viviamo tutti quanti. Il sentimento ha delle conseguenze e quindi muove il mondo.
L’arte è un’arma: penso che possa insegnare alle persone che potremmo veramente vivere in un’altra ottica. Nel momento che faccio un murales non si muoverà più da lì, è un’immagine fissa che resterà. Quella deve arrivare a chi ne ha bisogno: ne deve usufruire qualcuno che vuole confrontarsi con quel pensiero, sia che lo reputi giusto, sia sbagliato. A volte le mie opere non sono troppo dirette, ma cerco di sintetizzare per fare in modo che il messaggio arrivi.

'Teate' by Italian Emeid (@_emeid) for Muri Parlanti 2023 in Chieti, Italy

Emeid, “Teate”, 2023, Chieti. Foto di rt.

 

 

 

Mi è parso di capire che tu abbia una modalità di viaggio particolare. Quando sai di dover andare in una città, prima ancora di partire chiedi se hanno un muro da farti dipingere. Sembra un’esigenza quella di esprimersi a cui devi assolutamente rispondere, ovunque sei. È così?

 

Sì, tendenzialmente faccio così. Se mi muovo in macchina la carico sempre di bombolette perché da qualche parte probabilmente mi fermerò a dipingere. Ad esempio, Bologna ormai per me è diventato un punto di passaggio, quindi quando passo contatto Federico Miglianti e vengo a dipingere.
È una cosa che faccio molto volentieri anche perché mi dà la possibilità di condividere l’esperienza di una pittata con persone nuove. È bellissimo dipingere insieme ad artisti di posti differenti, la dinamica che si crea. Condividere con persone nuove questo tipo di arte è molto interessante. Mi piace molto pensare che ho diversi amici sparsi per l’Italia dovuti al fatto di avere condiviso con loro un muro per due giorni. Poi l’amicizia resta: è un’idea bella e affascinante.

 

 

 

Ci racconti un lavoro a cui sei particolarmente legato?

 

Il primo che mi viene in mente è un lavoro su tela. Il titolo è “Lotta”. È un’opera in cui ho dipinto una pila di tazze e ci sono diverse mani che le afferrano. Va a sottolineare l’eccesso di consumo. Sono le mani di persone che vogliono accaparrarsi qualcosa da mostrare agli altri, anche se non gli serve e non lo vogliono veramente. Ho scelto le tazze perché sono un elemento povero.
Non voglio dire che uno non debba più togliersi degli sfizi, però ho conosciuto delle persone che se non fanno shopping stanno male. È una roba malata. Sento anche tante persone che si rendono conto dei processi di sfruttamento che ci sono dietro alla produzione degli oggetti di consumo, ma esserne consapevoli e lamentarsi non basta. Bisogna cambiare approccio, smettere di consumare eccessivamente.
Sai, la classica giustificazione che sento dire è: “Ma tanto lo fanno tutti”… ma il problema è proprio questo! Tutti dicono “lo fanno tutti” e nessuno fa un passo indietro. Questa credo che sia una dinamica distorta che si crea nella mente delle persone.

 

Sempre sul discorso del consumismo, ho fatto un altro quadro a cui sono molto legato. Mostra di una ragazza che indossa una maglia a pois e ha dei pois anche sulle braccia e sul volto. Il titolo di questo lavoro è “Amore infetto” e vuole evidenziare che quello che hai ti contagia: la maglia a pois ha infettato il volto della ragazza. Quindi anche quest’opera sottolinea proprio l’identificarsi in quello che si possiede e non in quello che si è.

Emeid - Lotta

Emeid, “Lotta”, acrilico su tela, 100×80, 2023. Courtesy l’artista. 

Graffiti (Emeid)

Emeid, “Breathe”, 2024, a Weert, Olanda. Foto di .

 

Emeid a Bologna

Emeid, “Since i was born i started to decay”, 2021, cortile interno del Centro Sociale della Pace, via del Pratello, Bologna.

 

 

 

Ringraziamo Andrea per la gentilezza, il tempo che ci ha dedicato e la gentile concessione delle immagini!

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Se invece sei interessato a scoprire un progetto legato alla Street Art che sta cambiando il volto di Bologna, vai a: Rusco Zine: dalla parte degli street artists.


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Chiara
Punk di formazione, da sempre si occupa di arte contemporanea e controculture.
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