Beast è uno street artist milanese che trasforma il collage digitale in atto politico e poetico. Noto per la sua abilità nel perculare politici e pubblicità, sa anche parlare un linguaggio intimo ed evocativo, come dimostra nella sua ultima serie tutta dedicata al tema della memoria.
Ho avuto la fortuna di poterlo intervistare e scavare più a fondo nella sua ricerca.
Beast, “It’s not about the smile you wear”, Emilia, Aprile 2025. Ritratto di Allen Ginsberg. Courtesy l’artista.
Com’è nato Beast, lo street artist anonimo contraddistinto dal logo di un gorilla?
Ho iniziato nel 2009, in un periodo di grande espansione della street art. Arrivavo da una lunga esperienza lavorativa in grafica pubblicitaria e cercavo un modo per unirmi a questo movimento di cui volevo far parte. Feci i primi pezzi a Los Angeles e New York, dove vivevo in quel periodo, però erano molto diversi da quello che veniva comunemente considerato street art.
Io non sono mai stato un writer o un muralista, non so fare un cerchio con una bomboletta, quindi in sostanza mi sentivo una sorta di intruso, un primate tra esseri evoluti, un gorilla in una cristalleria.
Spesso le tue opere sono state incorniciate come i quadri in museo, ma decontestualizzate e collocate nello spazio pubblico. Perché hai scelto la strada? Cosa può darti che in galleria o in museo non troveresti?
Vedo solo vantaggi nello scegliere la strada piuttosto che una galleria. Penso alla visibilità, perché un luogo ben scelto in un’area affollata garantisce il passaggio e lo sguardo di migliaia di persone, un’affluenza che nessuna galleria, per quanto accorsata, ti può offrire. Poi c’è la mancanza di intermediari, perché quando scegli di esporre le tue opere in strada arrivi direttamente al pubblico, senza dover supplicare una galleria o un curatore artistico. Nessuno decide a priori il tuo valore, lo decide il pubblico, apprezzando o meno i tuoi lavori. E infine sono un sostenitore dell’arte pubblica, della volontà di aggiungere un messaggio in strada, oltre alle pubblicità e alla segnaletica stradale.
Mi interessa creare un dialogo a distanza con chi scopre per caso una mia cornice, con chi è completamente assorbito nei fatti suoi e a un certo punto vede qualcosa che non dovrebbe essere lì, strabuzza gli occhi e si concede uno spazio mentale che non sia il solito “compra questo” e “svolta qui”.
Beast, “You were Norma Jean, I was James Dean”, Milano, Novembre 2014. Ritratto di Silvio Berlusconi. Courtesy l’artista.
Spesso i tuoi lavori si caratterizzano per l’utilizzo di un formato gigantesco, molto imponente. Non richiama una dimensione intima e umana, ma monumentale e propagandistica. A quale scopo comunicativo ti serve questo formato imponente?
Forse tocchi un nervo scoperto di ogni street artist, il sovradimensionamento dell’ego. È tale la necessità di essere visti, riconosciuti, apprezzati, che è facile cadere nella tentazione di fare pezzi sempre più grandi, più visibili, come dici tu, monumentali. C’è stato un periodo nel quale i writers più arditi taggavano nel punto più alto possibile della città, un modo per dire “sono sopra tutti”, e forse fare un paste-up alto 30 metri non è molto diverso.
So che può sembrare ridicolo, in fondo parliamo di esseri umani che proiettano ossessivamente la propria immagine sui muri, ma se la dimensione dell’opera è giustificata dal messaggio e dall’ambiente nel quale viene inserita, credo si possa chiudere un occhio sull’evidente egocentrismo dell’autore.
Beast, “Our time in the Universe”, Grenoble Street Art Festival, Giugno 2019. Ritratto di Donal Trump. Courtesy l’artista.
È estremamente interessante il tuo rapporto con la pubblicità: grazie alla tecnica del subvertising togli spazio alla pubblicità per sostituirla con altri tipi di immagini. Cosa ti spinge a voler eliminare le immagini commerciali e sostituirle?
Mi ha sempre stupito il tacito accordo che si è creato tra cittadini e messaggi pubblicitari. In pochissimi si stupiscono o si lamentano di questa costante violenza visiva alla quale veniamo sottoposti. In ogni metropoli siamo letteralmente bombardati di messaggi che puntano a farci sentire inadeguati, e quindi pronti all’acquisto per compensare le nostre mancanze. E’ una Guantanamo psicologica che si consuma 24h su 24, ed è considerata legittima, e tollerata dai cittadini, solo perché i brand pagano il Comune per piazzare i loro messaggi. Il Subvertising, il NoAd Day, le public ad campaign di Jordan Seiler alle quali ho partecipato vanno in questa direzione: togliere un po’ di pubblicità, un po’ di pressione al nostro inconscio, e provare ad aggiungere un messaggio diverso. Anche se ovviamente siamo tutti consapevoli che si tratta di una goccia nel mare.
Alle volte crei collage digitali che sembrano pubblicità verosimili, creando un dubbio nello spettatore, che può scambiarli per veri annunci commerciali o campagne elettorali di politici. Come mai scegli di lavorare sul filo dell’ambiguità?
L’ho fatto per tanti anni, perché mi interessava lavorare sul binomio vero/falso, creando immagini che per quanto fasulle, potessero sembrare plausibili all’occhio dello spettatore. Mi divertiva creare immagini paradossali ma che potessero sempre suscitare il dubbio sulla loro veridicità. Poi ho smesso nel 2020, quando mi sono accorto che ormai un programma come Midjourney utilizzando l’AI, creava immagini decisamente migliori delle mie, e in un decimo del tempo.
Hai rappresentato tantissimi politici, colti in momenti surreali e divertenti. Li rappresenti sempre in modo ironico, senza attaccarli direttamente. Come mai hai scelto il linguaggio del sarcasmo e dell’ironia per parlare di potere? Per rendere il messaggio più accessibile al pubblico o per altri motivi?
Credo che l’ironia sia il modo più efficace e convincente per colpire una persona. Se voglio dire che tizio è un incompetente, scriverlo sui muri non farà nessun effetto, ma se trovo un’immagine che ironicamente rappresenta la sua incompetenza, raggiungerò molte più persone.
Nel dialogo è sempre il tono che fa la differenza, ed è così anche nel dialogo tra un’immagine e uno spettatore. Se uso un tono affermativo, imperativo, il mio interlocutore rischia di chiudersi; se utilizzo un tono amichevole, informale, è molto più probabile che ottenga la sua attenzione.
Tra i volti dei diversi politici che hai utilizzato per i tuoi collage satirici, c’è anche quello di Hitler, il personaggio storico che rappresenta la crudeltà per eccellenza. L’hai inserito in situazioni che ci appaiono quotidiane e rassicuranti, spesso come un modello in posa. Come mai hai scelto un accostamento così straniante?
Nel 2019 ho avuto l’opportunità di realizzare una mostra itinerante in Francia, intitolata Dear Life che proponeva come soggetto inedito proprio l’immagine di Adolf Hitler rivisto in chiave contemporanea, in abiti alla moda, vestito da sposa, oppure nudo in dolce attesa di maternità. Era un periodo nel quale stavano tornando movimenti di ultra-destra, in Germania, in Austria, in Ungheria, e anche in Italia. Movimenti che oggi sono ampiamente istituzionalizzati, se non addirittura a capo del governo, come nel nostro caso.
L’obiettivo di quella serie era porsi questa domanda: ma se tornassero quelle idee di nazionalismo, di sovranismo, di chiusura dei confini, di negazione del diverso, ma fossero camuffate in abiti “civili” e in qualche modo “alla moda” sapremmo riconoscerne i lineamenti? Saremmo in grado di riconoscere il pericolo sotto l’apparente normalità?
Forse se oggi Trump può espellere gli studenti stranieri da Harvard, non siamo stati in grado di farlo.
Beast, “God knows I’m weak”, Emilia, Maggio 2024. Courtesy l’artista.
Perché negli ultimi anni la tua arte urbana ha iniziato a relazionarsi con le opere d’arte rinascimentali? Ci racconti la ricerca che stai facendo in quest’ambito?
Credo abbia a che fare con il sentirmi un povero scimmione nel mondo dell’arte… Ogni volta che visito un museo, specialmente quelli che prevedono un percorso che parte dall’arte gotica per arrivare all’arte moderna, mi rendo conto di due cose: la pochezza di quello che faccio, e questo è affar mio e della mia psicoterapeuta, e l’influenza della religione nel nostro immaginario.
Il più ateo degli esseri umani, almeno parlando di noi europei, non può non aver subito la potenza dell’immaginario cristiano. Il Cristo in croce, raffigurato migliaia di volte, la sua sofferenza, il suo sacrificio, il suo perdono, l’inferno e il castigo per i non credenti, la misericordia e le porte del paradiso aperte ai fedeli, sono immagini di una tale portata da essere diventate una filosofia di vita, un comportamento a cui attenersi, una scelta quotidiana per garantirsi il perdono in eterno.
Oggi ovviamente c’è un pensiero critico che disconosce e a tratti ridicolizza questa idea, ma guardando queste immagini risulta evidente che parliamo di qualcosa che ha dominato per secoli, insinuandosi nel nostro inconscio. Credo che la pubblicità odierna abbia imparato molto bene questa lezione.
Beast, “Youth, thank fuck for attitude, when will you find yourself?”, Parma, Maggio 2025. Ritratto di Jean Piaget. Courtesy l’artista.
Ci racconti l’ultima serie di opere che stai realizzando? Si manifesta sempre su muri particolarmente rovinati, vissuti, carichi di memoria. Lì, applichi le immagini di personaggi storici che riprendono i colori e le texture delle pareti scrostate. Sono lavori che parlano di memoria collettiva, giusto? Credi che ci siano personaggi storici o eventi che senti siano stati ‘rimossi’ dalla memoria collettiva e che è necessario far riemergere?
Questi lavori sono partiti da una frase di Howard Zinn (storico statunitense) che tradotta in italiano suona più o meno così:
“Se non conosci la storia è come se tu fossi nato ieri. E se sei nato ieri, chiunque in una posizione di potere può raccontarti qualsiasi cosa e tu non avrai modo di verificarlo.”
Da qui l’idea di raffigurare personaggi storici che abbiano parlato dell’umanità e all’umanità, che abbiano riflettuto e maturato un’idea significativa donandola al mondo, descrivendo le nostre emozioni, tutte le nostre paure, i nostri processi mentali, la difficoltà di definirci come esseri umani, l’orrore del vuoto che ci circonda, il non-sense e la semplicità di una vita a termine. E ho cercato una tecnica nuova per installarli in strada, avevo bisogno di qualcosa che integrasse i soggetti il più possibile con l’ambiente urbano.
Ho provato quindi a fotografare prima i muri scelti, quelli più abbandonati, antichi e rovinati possibile, a significare il passaggio del tempo. Successivamente ho sovraimpresso la foto di questi muri scrostati sui soggetti storici, per poi tornare ad incollarli esattamente nel punto che avevo scelto. In questo modo le due superfici combaciano, sembrano fondersi, come se i soggetti trasparissero dal muro; come se fossero ancora presenti, pronti a parlare a chiunque si prenda la briga di interpellarli.
Beast, “Pack up your light”, Emilia, Marzo 2025. Ritratto di Aldous Huxley. Courtesy l’artista.
Ci racconti un lavoro a te particolarmente caro, che ti rappresenta particolarmente?
Nel 2020, per una serie di sfortunate coincidenze, e non c’entra il Covid, avevo interrotto la mia attività. Per 3 anni non ho più fatto nulla in questo ambito, ed ero anche convinto che non avrei mai più preso carta e colla in mano. Poi qualcosa si è rotto in questa convinzione e sono tornato a pensare che avrei potuto riprendere da dove mi ero fermato.
Sono quindi ripartito proprio dal progetto che avevo interrotto, il paste-up gigante di Eduardo De Filippo che vedi in foto. Una casa cantoniera abbandonata, segnata dal tempo ma ancora con quel rosso caratteristico, lo sguardo implacabile di Eduardo in vestaglia, tanta carta, musica in cuffia e una tonnellata di colla liquida. Per quanto mi riguarda un pomeriggio perfetto.
Beast, “Come what may”, Emilia, Luglio 2023. Ritratto di Eduardo De Filippo. Courtesy l’artista.
Beast, “I like drummers baby, you’re not my bag”, Parma, Aprile 2025. Ritratto di Simone de Beauvoir. Courtesy l’artista.
Ringraziamo Beast per i significativi approfondimenti, la disponibilità e la gentile concessione delle immagini.
Vi invitiamo a seguirlo sul suo sito: https://www.beaststreetart.com/
e sulla sua pagina Instagram
Se vuoi conoscere le testimonianze di altri street artists italiani interessanti, potrebbero piacerti anche le interviste ad About Ponny, a Run, a Loste, a Emeid, a Claudiano.jpeg e a Nicola Alessandrini.
Se invece vuoi conoscere la ricerca artistica di alcuni street artists italiani, vai agli articoli “I mostri di Ericailcane siamo noi”, “Dalla parte dei mostri: il mondo oscuro di Ragno” e “Nel terzo occhio di Bibbito”.
Per rimanere aggiornato sui progetti più interessanti legati all’arte urbana bolognese, ti consiglio di leggere “Rusco Zine: dalla parte degli street artists”.
due note sull'autore di questo articolo / intanto commenta e seguici sui social ...
Punk di formazione, da sempre si occupa di arte contemporanea e controculture.