La retroguardia video-ludica continua a prosperare.
Nonostante la disponibilità di motori grafici sempre più avanzati, c’è chi sceglie consapevolmente di creare giochi in pixel art o con estetiche anni 2000. Non è nostalgia fine a sé stessa: è una ricerca di essenzialità, una sfida fatta di limitazioni autoimposte che stimolano l’immaginazione. È questa la direzione scelta dagli sviluppatori indipendenti più radicali.
“Undertale” è un gioco indipendente sviluppato quasi totalmente da Toby Fox. La grafica ha uno stile retrò ed è tutta disegnata in pixel art, ma il gioco ha un gameplay innovativo e una trama estremamente coinvolgente.
La vera alternativa nasce fuori dai riflettori. C’è un angolo silenzioso dell’universo videoludico dove la creatività non segue le mode, ma anzi le sfida.
È su questo principio che si fonda la comunità indipendente di sviluppatori di videogiochi: programmatori, artisti e narratori che, lontani dalle grandi case di produzione, danno vita a esperienze videoludiche controcorrente, originali e profondamente fantasiose.
Il mondo dei videogiochi commerciali si dirige compatto verso un realismo sempre più estremo, colmo di effetti speciali quanto di storie inconsistenti. Propone prodotti che sembrano film interattivi, che ci stupiscono con un bombardamento di immagini pubblicitarie, laccate, che non lasciano più nulla all’immaginazione. In fondo però, il nostro ruolo non è altro che quello di brandire una spada o crivellare i nemici a suon di proiettili.
Sono prodotti vuoti per la massa, progettati per staccare il cervello e creare dipendenza tramite scariche continue di dopamina. Poche le storie coinvolgenti, pochi gli immaginari simbolici significativi.
In questo panorama omologato, è sorprendente osservare come, da anni, tanti sviluppatori indipendenti non seguano il trend, ma nuotino coraggiosamente controcorrente. Si tratta di una vera e propria retroguardia: invece di rincorrere il motore grafico più potente, tornano agli albori del videogioco, ricercando una nuova sintesi.
La retroguardia propone soluzioni grafiche più essenziali ma che lasciano spazio all’immaginazione del fruitore. Si concentra a pieno sull’atmosfera, la poesia narrativa, la magia del percorso di crescita del personaggio.
“Papers, Please” è un videogioco indipendente creato dallo sviluppatore indipendente Lucas Pope sviluppato intorno alla vita di un ispettore di frontiera.
Sono tanti gli sviluppatori indipendenti che continuano a creare giochi in pixel art, ispirata ai titoli degli anni ’80 e ’90. Le loro immagini sono curate nei minimi dettagli e le storie che raccontano sono ricche e coinvolgenti. Si tratta della dimostrazione concreta che un’idea forte può sopravvivere nella carestia totale dei mezzi.
Portano avanti una poetica “primitivista” per l’era digitale, ispirandosi ai primi passatempi videoludici. Tra di loro c’è addirittura chi riesuma le Avventure Testuali, ispirate ai primissimi giochi apparsi sul pc, antecedenti all’interfaccia grafica. Sono semplici scritte bianche su sfondo nero, dove il gioco si crea semplicemente tramite il testo, oppure usando i grafemi della tastiera che creano un ambiente simulato.
Dietro queste scelte c’è una consapevolezza precisa: i limiti tecnici generano le soluzioni più creative.
Pensiamo a giochi storici come Silent Hill: l’iconica nebbia che ha reso la sua atmosfera misteriosa, onirica e particolarmente spaventosa, nacque come escamotage per mascherare un limite tecnico. Nel 1999, la Konami non poteva gestire un gioco open world come quelli di oggi. Furono la grafica a 32 bit della prima PlayStation e le telecamere fisse che costrinsero gli autori a ideare soluzioni visive e narrative straordinariamente suggestive.
La retroguardia non trova spazio nel grande mercato del consumo di massa, ma si rivolge a una piccola nicchia di appassionati. Spesso si tratta di nostalgici degli anni ’80 e ’90, che ritrovano in quella grafica “invecchiata” le emozioni dell’infanzia, vissute con le vecchie consolle.
Si tratta di una comunità underground, che vive grazie al piacere della sperimentazione e della libertà creativa. Gli sviluppatori indipendenti che lo animano lavorano in solitudine o in piccolissimi team, si scambiano idee, si supportano, sentendosi parte di una comunità viva e autentica.
Questa scena alternativa ci insegna che la corsa alle nuove tecnologie non è un obbligo, nemmeno per chi lavora nell’informatica. Possiamo fermarci, tornare a un lavoro umano e artigianale, assemblando pixel dopo pixel come tessere di un mosaico digitale.
La grandezza di un videogioco non sta nella modernità grafica, ma nella sua capacità di proporre soluzioni creative, di evocare emozioni, di raccontare storie. Nella retroguardia troviamo viaggi introspettivi, surreali e personali. Ogni storia è frutto di uno studio appassionato, ricerca e immaginazione.
È evidente: questi giochi hanno ben poco a che fare con Fortnite e le logiche di mercato. Il tempo del gioco, nella retroguardia, non è tempo perso. Somiglia piuttosto a un tempo di scambio umano, dove l’interazione con il videogioco diventa un dialogo silenzioso con l’immaginario dell’altro.
“Owlboy” è un gioco d’avventura sviluppato dallo studio di sviluppo indipendente D-Pad Studio. La sua grafica old-school è talmente curata da ricordare i disegni e l’atmosfera dello studio Ghibli.
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Punk di formazione, da sempre si occupa di arte contemporanea e controculture.