Lo stereotipo la vuole in basso a destra, dentro al quadro ma fuori dall’immagine. La firma è un rigagnolo d’inchiostro nero che nasconde una storia sorprendente: quella della posizione degli artisti in società. Per capire il suo significato non bisogna leggerla letteralmente ma guardare dov’è posizionata.
Graffiti e firme sui muri. Foto di Jerry S.
Quando la firma non esisteva
Prima del rinascimento nessun autore firmava la propria opera.
Prova a riflettere, cosa significa se non firmi un tuo lavoro? Pensa ai lavori che quotidianamente realizzi per la tua azienda e che non vengono pubblicati a tuo nome. Significa che fondamentalmente non ti appartengono. Appartengono all’azienda per cui lavori, per cui tu sei uno dei tecnici, degli impiegati, che può essere sostituito in qualsiasi momento.
Bene: prima del 1500 fare il pittore, lo scultore o l’architetto non era considerato un lavoro riservato a liberi imprenditori, creativi ed estrosi: era semplicemente un lavoro tecnico. Fare affreschi era considerato un mestiere da artigiani, come quello del fabbro, del falegname e del salumiere.
Pittori e scultori non godevano di una grande libertà esecutiva, erano completamente sottomessi alla volontà della committenza. Questa dettava i parametri di esecuzione di ogni opera, spesso fin nei minimi dettagli.
Andare da un pittore per commissionare un’opera equivaleva all’idea di andare da un sarto per farsi tessere un vestito su misura. I committenti indicavano i all’artista il soggetto desiderato, quali personaggi ed elementi simbolici dovevano apparire e, spesso, anche quali colori doveva utilizzare.
L’artistista-artigiano, dal canto suo, poteva realizzare l’immagine secondo lo stile che preferiva, però a suo rischio e pericolo: se l’opera finale non fosse piaciuta al committente sarebbe stata rifiutata e il suo lavoro non sarebbe stato retribuito!
Conveniva quindi attenersi al gusto corrente e alle forme tradizionali, motivo per cui, fino all’800, i cambi stilistici nella storia dell’arte sono stati lenti e poco repentini.
La firma in basso a destra
Durante il rinascimento italiano appare la la firma sulle opere: è il segno lampante che il primo passo verso l’emancipazione del ruolo dell’artista in società è stato compiuto.
Tutto ciò è potuto avvenire grazie ad una fortuita generazione di artisti eccezionali, che hanno dimostrato capacità superiori alla media in tutti i settori (pittura, scultura, aritmetica, saggistica, architettura), tanto da essere considerati dei geni.
Gli artisti facevano parte dalla classe artigiana per cui non avevano accesso ad alti livelli d’istruzione riservati alla nobiltà. Incredibilmente, la loro intelligenza e curiosità sono riuscite ad appianare questo gap culturale. Pensiamo a Leonardo da Vinci, che nonostante fosse un uomo “senza lettere” (ovvero non conosceva né il greco né il latino, le lingue in cui erano scritti tutti i trattati scientifici e filosofici del tempo), in modo autonomo è riuscito a rivoluzionare il campo tecnologico, scientifico e medico.
Studio anatomico di Leonardo Da Vinci con firma in basso a destra
Sono questi artisti geniali che hanno portato l’opinione pubblica a rivalutare l’immagine dell’artista, non più come semplice tecnico, ma come intellettuale.
Il crescente interesse per i linguaggi visivi contagiò anche alcuni membri dell’aristocrazia, particolarmente sensibili ed eruditi. Uno di questi è Michelangelo Buonarroti, figlio colto e istruito di una famiglia patrizia, ricoperta di alte cariche politiche in città.
Per Michelangelo l’arte deve essere stata una passione così profonda da rischiare tutto, scendendo i gradini della scala sociale e opponendosi alla sua famiglia che non lo voleva vedere nei panni di artigiano.
Per farci un’idea, è come se oggi il figlio di qualche ricchissimo imprenditore rinunciasse alla gestione delle aziende paterne per andare a fare il mastro ferraio!
Prima del rinascimento l’unica forma artistica riservata alla nobiltà era quella delle lettere, ovvero l’unica in cui “non ci si sporca le mani”.
Personaggi come Michelangelo hanno portato la loro ampissima cultura nel mondo delle arti figurative, legandole alla filosofia più colta e progressista dell’epoca, investendo la figura dell’artista di una carica teorica oltre che pratica.
In gergo tecnico diciamo che le arti visive sono passate dall’essere arti servili a essere arti liberali (ovvero libere).
Perché la firma è finita proprio in basso a destra? Ma è ovvio! Per evidenziare il legame con la forma artistica più colta e nobile esistente all’epoca: la letteratura. Letterati e romanzieri da sempre firmano in quella zona della pagina.
Infatti, fino ad allora, l’unica forma d’arte concessa ad aristocratici e intellettuali era quella delle lettere, cioè l’unica in cui “non ci si sporca le mani”.
La firma si muove
Nel corso dell’ottocento si completa l’ascesa sociale dell’artista in società. Il suo ruolo si distacca per sempre dal mondo dell’artigianato ed entra definitivamente tra la cerchia degli intellettuali.
Le motivazioni di questo salto dipendono da diversi cambiamenti sociali. Primo tra tutti, l’avvento dell’era industriale che spazza via la classe artigiana, sostituendola con mezzi più veloci e a prezzo inferiore. Un altro, è l’avvento della fotografia, ufficializzato nel 1839, che minaccia di sostituire in modo rapido ed economico tutta la ritrattistica e la pittura di paesaggio.
Edouard Manet tratta la sua firma come uno dei tanti segni che compongono il quadro. Nel ritratto di Theodore Duret diventa una linea di forza che evidenzia l’andamento del fondo pittorico.
L’artigiano è sostituito dalla macchina e trasformato in operaio: l’artista, per non essere sostituito assume lo status d’intellettuale e contestatore del sistema produttivo alienante. La pittura si distacca completamente dalle pretese di resa naturalistica (già soddisfatte dalla fotografia) e si lancia alla scoperta di mondi interiori, poetici ed espressivi nuovi.
Sono tantissimi gli artisti e i movimenti che si susseguono nell’ottocento dando vita a visioni aeree, interiori, emotive e palpitanti.
In breve l’opera d’arte si tramuta in un riflesso dello spirito, dei tumulti dell’anima. Qualcosa che le macchine non possono conoscere.
Paul Signac cambia colore alla sua firma e la mimetizza tra le pennellate del quadro Les Tour Vertes, la Rochelle, del 1913
La firma inizia a vagare per la tela, si sposta dal suo posto canonico. Questo succede perché gli artisti interpretano le loro visioni come ricerche interiori profonde, emotività pura in cui ogni gesto deve essere calibrato. Ogni movimento del pennello segna un moto emotivo preciso, un andamento dello spirito. Ogni colore si relaziona con gli altri, creando accordi e discordanze.
Gli artisti si accorgono che anche la firma è un segno visivo, che può disturbare la loro visione.
La firma d’autore tende a essere integrata nell’immagine, in modo da disturbare sempre meno. Viene spostata, rimpicciolita, colorata, inglobata dall’opera. Si fonde con l’andamento pittorico senza entrarci in contrasto.
L’autografo inizia ad assumere un’importanza marginale. Evidentemente, il suo ruolo rinascimentale, che serviva a inquadrare l’opera con un atto di creazione libero e non servile, inizia a essere dato per scontato.
Edgar Degas integra la sua firma nel quadro seguendo la diagonale tracciata dal battiscopa nell’opera Due ballerine che si esercitano alla sbarra, del 1877.
La firma al centro o dietro alla tela
Nell’arte contemporanea, la firma d’autore mantiene due posizioni opposte: o viene censurata, invisibile agli occhi dell’osservatore, oppure è il soggetto centrale dell’opera.
Elaborazione del lettering in 3D di Dado, foto di Leandro Schizzi
Quando la firma è al centro dell’opera è un segno inequivocabile d’urgenza, un urlo disperato, una rivendicazione esistenziale. Pensiamo al movimento Writer, che ha trasformato il nome dell’autore in un campo unico di ricerca artistica, tipografica e sperimentazione poetica.
Accanto ai writer si affiancano casi isolati d’artisti che propongono il proprio nome come elemento costruttivo dell’immagine, come nel caso di Patrick Moya. Ma ci basti pensare al più celebre Piero Manzoni, che con fare polemico e ironico autografava pubblico e modelle.
Quando è al centro la riflessione dell’opera si sposta sulla figura dell’artista e sul suo rapporto con il mondo circostante. Propone un ritorno all’essere umano, ai suoi ruoli in società e alle sue pratiche d’azione.
Patrick Moya, particolare della mostra realizzata a Mantova nel 2016. L’autore francese modifica il lettering del proprio nome per comunicare un’aria surreale, orrorifica o trasognata.
In alternativa, l’arte contemporanea non lascia scampo: la firma è sparita. Perché? Perché l’opera è un delicato equilibrio di colori e forme che si relazionano fra di loro. La firma è uno scarabocchio nero che sposta l’attenzione dal contenuto primario e sballa l’equilibrio visivo dei rapporti interni all’opera.
A che serve pasticciare l’immagine quando si può autentificare la tela sul retro e si possono avere didascalie stampate per l’occasione che non deturpano le opere?
L’artista attualmente è un creatore libero riconosciuto dalla società, sostenuto da un sistema dell’arte e da collezionisti disposti a comprare le sue opere; non è un artigiano analfabeta che necessita disperatamente di rivendicare la proprietà intellettuale sul suo lavoro, a costo di deturparlo.
Che bisogno ci sarebbe di precisare che l’opera d’arte non è frutto della volontà del committente, quando i committenti non esistono più e la prima domanda che ci poniamo davanti ad essa è: “Cosa mi vuole comunicare quest’artista?”.
La rivoluzione degli artisti rinascimentali è stata assorbita dal substrato culturale ed è giunta alla sua conclusione. L’opera appartiene comunque a chi l’ha realizzata, non più a chi la possiede.
Il sistema dell’arte odierno garantisce la proprietà intellettuale dell’artista sull’opera. Inoltre, gli assicura un’ottima riconoscibilità durante le esposizioni anche se la firma dell’autore non è visibile.
Oggi, la vera firma d’autore è il suo stile, il suo sguardo inconfondibile, che il pubblico impara a riconoscere.
L’autografo sulla tela in basso a destra può solo essere considerarlo un elemento estetico passatista e fuori luogo, utilizzato principalmente dagli amatori (hobbisti) come frutto di un retaggio culturale stereotipato.
Insomma, oggi, a meno ché la firma non sia la materia prima della poetica dell’artista, esporla in bella mostra è fondamentalmente inutile.
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Punk di formazione, da sempre si occupa di arte contemporanea e controculture.