La Biennale 2022 di Venezia è un evento carico di riflessioni che invadono la città. Si tratta di un’esposizione che ha avuto alcune caratteristiche particolari, come quella di ospitare tantissime artiste donne e tanti autori considerati “outsider” dal sistema dell’arte.
Nell’articolo seguente osserviamo la Biennale di Venezia come specchio del mondo contemporaneo: un’occasione per fare una bella seduta psicoanalitica a tutta l’umanità.
Ueffe isolotto ha allestito il padiglione Danimarca come una casa contadina abitata da una famiglia di centauri. Il padre si sta impiccando mentre la moglie sta partorendo una creatura ulteriormente mutata. La nuova creatura si manifesterà come speranza o ulteriore dannazione?
A tre anni dalla scorsa Biennale, il mondo è cambiato profondamente. Una pandemia dai contorni ancora oscuri ci ha costretti in casa e al distanziamento sociale, una nuova guerra minaccia l’incubo nucleare e la crisi climatica si palesa anche nelle zone climatiche temperate. Alla Biennale 2022 possiamo osservare la reazione dell’arte internazionale, che ci aiuta a interpretare e a razionalizzare i nuovi stati d’animo, le sensazioni emerse di fronte a tali cambiamenti.
Se la scorsa Biennale era stata una denuncia sociale in aperto dialogo con il mondo, questa vede una chiusura intimistica su se stessi, da cui il mondo rimanere spesso tagliato fuori. È come se le pressioni provenienti dall’esterno fossero così opprimenti da averci portato a chiudere a chiave la porta della nostra camera, abbandonandoci al silenzio e alla solitudine. Ce ne rimaniamo in un luogo protetto e isolato, riflettendo solo su ciò che resta di noi.
Proprio per questo, torna in maniera preponderante il tema dell’identità, caratterizzato da una libera mutazione corporea e dalla creazione di esseri fantastici di ogni tipo. I nostri organi si aprono alle ibridazioni post-gender con macchine, animali, mostri fantastici e mitologici. Il corpo, carne da macello in balia degli eventi esterni, è ora l’unica entità da cui ripartire, l’ultimo bastione da difendere.
Ali Cherri, “Titans”, sculture che evocano antiche divinità, come il Lamassu assiro, unendo organico a spirituale, antico e contemporaneo.
A sottolineare questa chiusura su se stessi, notiamo che pochissime opere prevedono un’interazione attiva con il pubblico. Generalmente, la scenografia dei padiglioni è molto curata per accompagnare il visitatore all’interno del mondo dell’artista ma il pubblico gioca quasi sempre il ruolo di spettatore: non interagisce con le opere ma le osserva, come se fossero mondi irraggiungibili, privati, davanti ai quali troneggia inesorabile la scritta “Don’t touch”.
Questa scelta ci fa riflettere, perché effettivamente in questi anni, tra pandemie e diffidenza nei confronti del prossimo, abbiamo tutti vissuto una chiusura nei confronti del mondo esterno. Questa impostazione, in cui nessuno deve più toccarci ma solo guardarci da una certa distanza (magari quella dei social network), ci ha portati realmente a un’introversione narcisistica. Al centro del nostro mondo non c’è più l’interazione con l’altro ma ci siamo noi e la nostra solitudine: gli altri sono solo satelliti che ci gravitano intorno.
La concentrazione sul nostro “Io” non deve però rassicurarci troppo: le identità emergenti alla Biennale di Venezia 2022 sono sempre piuttosto inquietanti.
Corpi politici, fantastici e robotici
Il tono della Biennale 2022 è drammatico: nonostante il titolo “Il latte dei sogni”, proveniente da un libro per bambini di Leonora Carrington, lo permettesse, pochi artisti e curatori hanno scelto di proporre un’arte ironica e giocosa. Le nuove identità mutanti hanno spesso un’entità politica: alcune sono creature post-gender (come quelli dell’artista transessuale Ovartaci), altre sono frutto degli stereotipi di genere e rispecchiano il peso sociale che grava sul loro aspetto, altre ancora derivano dai racconti popolari e, seppur con un linguaggio edulcorato, ci raccontano di traumi, violenze, stupri e infanticidi.
A ciò si unisce il tema delle tratte razziali, anche questo narrato attraverso corpi enormi, come quelli di Simone Leigh, artista premiata con il Leone d’oro per la miglior partecipazione, che rivendica la sovranità culturale, governativa e intellettuale dei popoli africani su quella dei colonizzatori, concentrandosi in particolare sulla storia sommersa e ignorata delle donne di colore.
Due opere di Simone Leigh situate nel Padiglione America.
Non tutti i corpi esposti avevano però una funzione di denuncia sociale. Tra i vari, possiamo osservare un’interessante ritorno del linguaggio surrealista, che ci offre visioni aliene e fantasy, generando uno strano scambio di battute tra carne e sogno.
Troviamo creature antropomorfe che filtrano con la natura, il mondo animale e quello delle favole, forse in un intento di conciliazione con la terra nel momento drammatico dei cambiamenti climatici. Alcuni corpi sono fusioni oniriche, altri sembrano pessimi presagi futuri. Le visioni che prevalgono anche in questo caso sono quelle da incubo, in cui nuovi corpi organici mutanti sembrano sfuggire al nostro controllo.
Alla Biennale 2022 si assiste poi a un’importante ritorno del Post Human. La tecnologia contamina i corpi tentando di superare i loro limiti biologici. A questo proposito è apparso davvero di tutto: robot che giocano con la corrente elettrica, orifizi corporei fluttuanti, animali bionici e chi più ne ha ne metta.
Il risultato è questo: tra i visori di Loukia Alavanou, le opere Post Internet Art e macchinari infernali, la Biennale assomiglia al set cinematografico di un film cyberpunk.
Yunchul Kim, “Chroma V”, un serpente meccanico composto da 382 celle che si muovono in modo fluido cambiando colore, come le squame dei rettili.
Non sempre il discorso dell’identità passa attraverso i corpi. Fa eccezione, ad esempio, il magnifico Padiglione Italia, che riesce a comunicarci il crollo del sogno industriale e la crisi della nostra identità culturale, proprio grazie all’assenza degli individui.
L’artista Gian Maria Tosatti ha allestito l’intero padiglione come se fosse una fabbrica abbandonata, un edificio con ancora tutti i macchinari pronti a ripartire ma un popolo che sembra aver abbandonato il campo e le speranze. Rimane lo spettro della crisi economica, della disoccupazione e di un paese spiaggiato, incapace di ripartire.
Analisi finale
In conclusione, la Biennale ci racconta chiaramente che, davanti a un mondo in fiamme, c’è una fuga generale verso la sfera privata. Ci stiamo isolando nella nostra intimità, luogo in cui dobbiamo riordinare parecchie cose perché, come dopo un trauma, è contaminata da visioni distopiche di ogni tipo: legate al cyber controllo, a una biotecnologia invadente, al disorientamento spaziale.
Anche l’evasione passa attraverso il nostro corpo, che però non diventa eroico, classico o magico, ma animalesco, nel disperato intento di riavvicinarsi al mondo naturale.
Sembra quasi che la bomba atomica sia già esplosa. Non fuori ma dentro di noi, causando un caos incredibile di pezzi, organi, fusioni e collassi. La Biennale 2022, riflette un disordine mentale, probabilmente dovuto al crollo della percezione della sicurezza e alla perdita delle abitudini, in cui sarà difficile rimettere mano.
Da dove ripartire? Probabilmente dall’incontro con l’altro e dalla ricostruzione dello spazio collettivo. Possiamo provare a rieducarci alla condivisione, a gettare ponti con il mondo esterno, nel tentativo di rompere l’isolamento soffocante di cui l’arte ci sta dando avvisaglia.
Jhonatas de Andrade ha allestito il Padiglione Brasile con vari pezzi sparpagliati di corpo umano.
Andra Ursuta, “Predators ‘R Us”, 2020. Donna parzialmente priva di arti che sviluppa insolite appendici. Foto scattata alla Biennale 2022 di Venezia.
Se vuoi scoprire quali sono state le opere più scioccanti della Biennale vai all’articolo “Le opere indimenticabili della Biennale di Venezia 2022“.
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Punk di formazione, da sempre si occupa di arte contemporanea e controculture.