James Ensor fu un artista belga che inventò un’arte davvero personale, carica d’ironia e critica sociale. La sua irriverenza ha toccato tutte le più alte cariche istituzionali dell’epoca: dal re, ai preti, ai medici, senza risparmiare le grandi masse di gente omologata.
Dopo aver letto il libro “James Ensor” di Ulrike Becks-Malorny, non posso fare a meno di raccontarvi la sua storia.
“Un artista in mansarda”: questo è il titolo alternativo che avrei potuto dare all’articolo. Il motivo è semplice, perché James Ensor ha passato la maggior parte della sua vita chiuso in mansarda, fino all’età di 57 anni.
Parliamo del sottotetto al quarto piano presente nella sua casa paterna, a Ostenda, luogo in cui passava le sue inesorabili giornate, in solitudine, a dipingere. Si decide a trasferirsi altrove solo dopo che i genitori sono entrambi morti; ma questa, è solo una delle incredibili stranezze di questo eccentrico artista.
James Ensor è uno di quegli artisti incompresi che al giorno d’oggi sarebbe definito un “mammone”: pensate che rimase a vivere a carico di sua mamma quasi fino alla sua scomparsa, perché purtroppo non riuscì a rendersi indipendentemente prima.
Non era comunque l’unico mantenuto della famiglia, lo stesso problema lo aveva suo padre, che essendo di origine piuttosto benestante si è sempre rifiutato di lavorare, lasciandosi mantenere dalle donne di casa. Per quanto disprezzato dalla moglie e dedito all’alcolismo, il padre era una persona molto colta, laureato in medicina, capace di padroneggiare diverse lingue e svariati strumenti musicali. Quest’uomo sarà l’unica persona della famiglia che comprenderà la vocazione artistica di James.
James Ensor, “Ritratto del padre”, olio su tela, 1881. L’artista mostra la solitudine di un uomo colto, emarginato dalla società e disprezzato dalle donne della sua famiglia perché nullafacente.
La madre, la sorella, la nonna e la zia, mantenevano tutti grazie a un piccolo negozio di oggetti strani e meravigliosi, che avrà un ruolo fondamentale sull’immaginazione di James. Commerciavano souvenir, conchiglie, articoli esotici e di carnevale, tra cui maschere, lustrini, trucchi e costumi[1]; questa merce bizzarra riaffiorerà continuamente nella pittura di Ensor, che dovette trascorre buona parte della propria infanzia proprio all’interno della boutique di famiglia.
Appena adolescente, inizia a dipingere proprio sui cartoni d’imballaggio che trova in giro per il negozio. L’artista ricorda queste opere come “I cartoni rosa”, proprio a causa del supporto recuperato di fortuna.
Purtroppo, crescendo, i rapporti con la madre e le altre donne di famiglia si deteriorarono. L’atteggiamento di disprezzo di cui era vittima il padre nullafacente investì anche lui.
Madre, nonna e sorella cercheranno sempre di far demordere James dalle sue ambizioni artistiche per convincerlo a contribuire attivamente all’economia domestica. Il primo luogo in cui la pittura di Ensor fu umiliata e demotivata fu proprio a casa sua: le donne non capirono mai perché passasse il tempo a disegnare certe “oscenità”. Lui coverà un grande rancore nei loro confronti che lo porterà a maturare dei pregiudizi nei confronti delle donne in generale e, forse proprio per questo, non si sposerà mai.
Ensor si sentirà sempre vittima delle calunnie e dell’ignoranza dell’ambiente che lo circonda. Infatti, fino all’età di quarant’anni, il suo lavoro venne mortificato in famiglia, dagli amici, dai critici e dagli avventori delle mostre. Il disprezzo, la derisione e l’ipocrisia sono proprio i sentimenti centrali introno ai quali gira tutta la sua opera.
La formazione e il “periodo cupo”
Il padre, che aveva intuito il talento precoce di James, già dall’età di 11 anni gli fa impartire lezioni di disegno da artisti locali. Sarà sempre lui a incoraggiarlo cinque anni dopo, all’età di 16 anni, a iscriversi all’Accademia di Belle Artisti di Ostenda e poi a quella di Bruxelles.
In questo periodo realizza le sue prime opere interessanti, quelle che lui ha ribattezzato come “Saloni”, coincidenti con quello che è ricordato come il suo “periodo cupo”. Si tratta di quadri che raffigurano l’opprimente atmosfera piccolo borghese che si respirava in casa sua. In particolare, dedica diversi quadri alla madre, alla nonna e alla sorella. Si tratta d’immagini cupe, che fanno percepire la noia e la pesante monotonia in cui trascorrevano i pomeriggi a Ostenda. Le donne sembrano soffocate dall’opulenza dell’arredamento e degli abiti eleganti, in stanze in cui aleggia un’aria funebre.
James Ensor, “Il salotto borghese”, Olio su tela, 1881. Ritratto della madre e la sorella che sembrano quasi soffocate dall’opulenza dell’arredamento borghese.
All’età di 18 anni abbandona l’Accademia di Bruxelles, deluso dai corsi troppo tradizionali che non trova stimolanti. Fu però un ambiente per lui fondamentale poiché lì trovò le amicizie più significative, quelle che l’accompagneranno per il resto della vita: tra le varie ci sono i pittori Ferndand Khnopff, Willy Finch e Théo Hannon.
Oltre a girovagare per caffè letterari, cabaret e aggirarsi per le strade di Bruxelles vestiti in abiti grotteschi, nel 1883 gli amici aderiscono alla fondazione del circolo “I Venti” di Octave Maus, finalizzato alla promozione e all’organizzazione di esposizioni d’avanguardia dei giovani artisti belgi. Per una decina di anni questo circolo rappresentò l’unica possibilità per Ensor di mostrare le sue opere che, invece, venivano regolarmente rifiutate alle esposizioni ufficiali. Già l’anno successivo, nel 1884, vedrà le sue opere respinte dal salone ufficiale di Bruxelles. Quello sarà il primo assaggio di ciò che dovrà subire per buona parte della sua vita: vedere la carriera degli amici avanzare indisturbata mentre lui rimane escluso dal sistema artistico e denigrato dalla critica.
Insieme agli amici, a Bruxelles entra a fare parte del salotto intellettuale di Ernest Rousseau, un professore universitario fortemente critico nei confronti della società belga, che simpatizza per il pensiero anarchico.
Le idee che circolano in casa Rousseau influenzeranno tantissimo il giovane James, che affina uno spietato senso critico. In quel luogo si sente accolto e accettato come in nessun altro posto al mondo e riesce a esprimere il suo comportamento spontaneamente libertario che, sotto la sua natura timida e solitaria, nasconde un grande amore per ogni genere di buffonata, come suonare il flauto con il naso, travestirsi, fare scherzi, scrivere e declamare testi comici o non sense.
Il “periodo chiaro” e i suoi soggetti
James Ensor, “Le maschere scandalizzate”, Olio su tela, 1883. Si tratta della sua prima opera in cui appaiono delle maschere, ispirate al folklore belga. S’ipotizza che possa essere una scena ispirata al padre alcolista colto in flagrante e disprezzato dalla moglie.
Ensor si applica in molte tecniche diverse, dipinge su tela, su legno, su cartone, su carta; utilizza colori ad olio, acquerelli, gessetti, matite colorate e mescola le diverse tecniche con grande audacia sperimentale. Inoltre, adora la tecnica dell’acquaforte e l’infinita riproducibilità dell’incisione[2]. Ha un grande talento sia pittorico sia musicale, che lo porta ad accostare i colori e le note con estrema naturalezza.
Trascorre le giornate in mansarda con pennelli, libri e pianoforte ed è lì che, nel 1883, elabora una figura destinata a divenire il simbolo iconico delle sue creazioni: la maschera. La città di Ostenda era legata alla tradizione di un grosso carnevale, che nascondeva anche radici grottesche, come “Il ballo dei topi morti”. Ensor, che era vissuto tra le maschere del negozio di famiglia, le trovò fantastiche metafore di una società falsa, ipocrita e meschina. Nelle sue opere troviamo parate di gente in costume che sembrano fondersi con la pelle di chi li indossa. In alcuni quadri, ad esempio in “Autoritratto tra le maschere”, i travestimenti sono così tanti che sembrano soffocare l’artista, inghiottendolo nella parata dell’apparenza e dell’ipocrisia.
La maschera insorge nei suoi lavori quando Ensor ha 25 anni e velocemente diventa la protagonista indiscussa dei suoi quadri, dando sfogo a una fantasia bizzarra e incontenibile. Purtroppo nessuno di quelli che lo circondano ne comprende la potenza poetica e metaforica. Anche il circolo de I Venti si rifiuta di esporre i suoi lavori e lo lascia sprofondare nella tristezza. La famiglia lo disapprova e lo invita a creare quadri piacevoli che possano essere venduti al negozio. Ensor, consapevole di non aver mai goduto di nessun riconoscimento, è molto frustrato. Diventa irascibile, taciturno e passa intere giornate in silenzio, chiuso in mansarda.
Nella sua situazione molti di noi si sarebbero rassegnati o sarebbero giunti a una pittura di compromesso. Ma non Ensor. Lui reagì alla sua emarginazione dando voce alla sua rabbia, creando opere più ironiche e corrosive, caratterizzate da una forte valenza politica antiborghese e antiautoritaria.
James Ensor, “L’alimentazione dottrinaria”, acquaforte su carta giapponese, 1889. Il re e i suoi ministri, appollaiati su una ringhiera come uccelli, defecano in bocca ai sudditi, che si cibano avidamente dei loro escrementi.
Opere come “L’alimentazione dottrinaria”, offrono una caricatura tagliente e provocatoria della fiducia cieca nell’autorità nutrita dalla classe borghese.
È inutile precisare che opere come questa scandalizzino e nessuno volle esporle ma, a questo punto, Ensor non ha più intenzione di compiacere nessuno. Anzi, nel grottesco e nella satira trova gli strumenti d’attacco e di difesa ideali, l’ironia e lo scherno sono le sue risorse fondamentali. Le sue opere si scagliano contro tutti: i giudici, i medici, i preti, i critici d’arte, i divertimenti della massa. Tutto è narrato come un’ironica barzelletta, in cui masse d’incompetenti e ignoranti omologati giudicano e deridono la vittima di turno.
Nel 1887 muore il padre di Ensor, l’unica persona che l’ha sostenuto nel suo progetto. Da questo momento, oltre alla maschera, nei suoi quadri si afferma sempre più anche il soggetto dello scheletro. Il volto della morte è sempre più spesso nascosto tra le feste carnevalesche, a volte spaventa le folle oppure è il personaggio principale dell’opera. Spesso, anche nei suoi stessi autoritratti, Ensor sostituisce il proprio volto con un teschio, come fosse una sorta di vanitas. Un ironico monito della fine, sempre in agguato.
Jams Ensor, “Scheletri che si litigano un’arringa salata”, Olio su tavola, 1891. Il titolo è un gioco di parole basato sull’assonanza delle parole “Art Ensor” e “Hareng Saur” (aringa salata). Il pesce rappresenta metaforicamente l’artista dilaniato dai critici d’arte e le loro arringhe.
C’è in realtà un altro soggetto sottointeso nelle sue opere: la folla.
Ensor, dall’alto della sua mansarda, vede continuamente scorrere flussi di gente, parate, manifestazioni e processioni. È spaventato da questi greggi di persone che non possono fare a meno di avere un pastore. Nella folla l’individualità si perde, c’è solo la forza di una grande massa che avanza nelle strade, calpestando tutto. Con le sue masse di maschere omologate e ripugnanti che si perdono all’orizzonte, Ensor denuncia un’oppressione esasperata del soggetto nella società borghese, legata al buon costume e alla cieca fiducia nelle autorità.
James Ensor, “Autoritratto tra le maschere”, Olio su tela, 1899. L’artista è l’unica figura che non è travestita ed è stritolato da una folla di maschere inquietanti. Foto di LN BREUT.
L’artista martire
Inaspettatamente, tra le parate grottesche di Ensor, appaiono spesso anche delle figure bibliche. Questo può sembrare un fatto strano perché l’artista è un ateo convinto. Sfrutta le iconografie cristiane poiché queste sono ben conosciute da tutti e sono utili per veicolare messaggi.
Infatti, l’immagine del Cristo, o del martire, in Ensor diventa metafora della figura dell’artista e racconta il suo rapporto con la società. L’artista è considerato il “diverso”, colui che porta un messaggio alla folla ed è l’unico personaggio privo di maschera. La massa però è ignorante e non lo comprende mai e lo conduce al martirio, all’umiliazione.
James Ensor, “L’entrata di Cristo a Bruxelles”, olio su tela, 1889. L’opera ha dimensioni monumentali (2,50×4,31 metri) ma la mansarda in cui dipinge Ensor è piccola. Per questo l’artista è costretto a fissare al muro solo parte della tela lavorando solo una porzione per volta.
L’esempio più celebre di questo genere di opere è “L’entrata di Cristo a Bruxelles”[3], del 1889. È una citazione del racconto biblico dell’arrivo di Gesù a Gerusalemme[4], in cui la folla osanna il Cristo per poi ucciderlo il giorno dopo.
Una manifestazione di maschere grottesche e minacciose circonda e accompagna il Cristo, seduto su un asino. Ensor s’identifica con la figura del Cristo, a cui attribuisce il suo volto, facendolo così coincidere la figura dell’artista con quella del salvatore. La sua immagine però è relegata in secondo piano, dispersa nel corteo carnevalesco sghignazzante di personaggi deformi, che lo deridono ingiuriosi. Sono la trasposizione dei cittadini di Ostenda che vedono l’artista come un pazzo, dei colleghi che lo rifiutano, dei critici che lo ignorano. Tra i vari personaggi troviamo anche il ritratto di sua sorella, che da sempre lo reputa un perditempo, ma anche del vescovo che guida il corteo con sembianze pagliaccesche, del sindaco dal lungo naso rosso e l’ufficiale con il petto pieno di medaglie che ha tutta l’aria di essere un burattino.
Nell’opera appaiono slogan con scritte ironiche, come “Viva la società” e “Le fanfare del potere non sbagliano mai”. Gli slogan e i bizzarri personaggi istituzionali rendono il quando un manifesto politico e morale, che riflette il disprezzo per una società indifferente e crudele, attaccata alle apparenze e alle ridondanti celebrazioni del potere.
Oggi, quest’opera è considerata uno dei capolavori massimi dell’artista, ma al tempo nessuno le prestò attenzione. Pensate che verrà esposta per la prima volta solo 41 anni dopo la sua realizzazione, nel 1929.
Un finale inaspettato
Nel 1893 il circolo I Venti si scioglie. Al tempo, la figura artistica di Ensor era per lo più legata al fatto che fosse un membro di questo circolo avanguardista. La crisi che ne conseguì fu molto grossa.
Ensor iniziò a dubitare di se stesso e della sua creatività. Arrivò a mettere in vendita il suo studio con tutte le sue opere per 8500 franchi ma nessun acquirente si presenterò, dimostrando quanto tutti lo ignorassero. Su suggerimento della madre, allora abbassò ulteriormente il prezzo, invano.
Questo probabilmente fu il momento più triste di tutta la sua vita d’artista.
Ma la parabola di quest’uomo non è destinata a finire in tragedia.
Divenuto quarantenne, la vita di Ensor cambia.
Come se fosse una commedia comica e bizzarra uscita dai suoi quadri, la sua esistenza si scaravolta completamente, quasi all’improvviso. Con lo scoccare del ‘900 il mondo si accorge della sua esistenza e lo glorifica in tutti i modi possibili: si organizzano mostre personali (che prima mai aveva avuto l’onore di vedere organizzate), le sue opere sono acquistate da grandi istituzioni (come il Museo Reale di Belle Arti di Bruxelles), le riviste gli dedicano gli speciali, gli editori pubblicano le sue monografie.
So che tutto ciò sembra assurdo, ma dopo anni in cui tutti lo avevano ignorato, ora si affrettarono a nominarlo Cavaliere dell’Ordine di Leopoldo, Principe dei Pittori di Bruxelles e Grande Ufficiale della Legion d’Onore di Francia. Pensate che addirittura fu una delle pochissime persone in vita a veder costruita una statua pubblica in proprio onore[5]!
James Ensor, “I vivisezionatori infami”, 1925. Ensor non rinunciò mai alla critica sociale, anche in tarda età. Con questa tela Ensor supporta l’approvazione di una legge contro la tortura e la vivisezione su animali vivi. Al centro vediamo un cane crocifisso, metafora dei metodi barbari allora in uso, e accusa anche il clero di essere complice poiché non formula nessuna obiezione a queste pratiche.
Da questo momento in poi la vita di Ensor, per assurdo, trascorre in buona compagnia e completa serenità, lavorando relativamente poco.
Poche furono le disgrazie che lo colpirono da ora in avanti: nel 1915 fu arrestato per aver insultato Guglielmo II per essere poi immediatamente rilasciato ed ebbe il dispiacere di non vedere messo in scena “Le Gamme d’Amor”, un balletto con scenografie e musica scritte da lui a cui teneva molto. Insomma, è come se la vita lo ricompensasse di tutta la solitudine e l’ingratitudine subita negli anni precedenti.
Nel 1917, dopo la morte sua mamma a cui prestò una lunga assistenza, abbandona definitivamente la mansarda in cui è stato chiuso per tanto tempo.
La sua vita si concluse nel modo più surreale: morì due volte.
Infatti, per errore, nel 1942 la radio belga annunciò la sua morte. Pare che l’artista, con la grande ironia, si presentò vestito da funerale davanti alla propria tomba[6] .
Morì la seconda volta, e questa volta davvero, il 19 Novembre 1949, all’età di 89 anni. In sua memoria vennero indetti i funerali di Stato.
James Ensor, “I cattivi dottori”, 1892. Qui l’artista si prende gioco dei medici, dipingendoli come sempre pronti ad operare in modi assurdi, nonostante siano stolti e incompetenti. Foto di retlaw snellac.
James Ensor, “I bagni di Ostenda”, tecnica mista, 1890. L’artista si prende gioco dei passatempi estivi della gente comune in spiaggia, ispirandosi ai quadri burleschi di Pieter Brueghel. Foto di Pete Bromage.
[1] Cfr. “Ensor”, di Ulrike Becks-Malorny, ed. Taschen, 2006, pag. 8.
[2] Cfr. “Ensor”, di Ulrike Becks-Malorny, ed. Taschen, 2006, pagg. 82-85.
[3] Ensor non può permettersi i colori in tubo perché troppo costosi, per cui si fa preparare dei colori ad olio appositi. Li applica sulla tela senza mescolarli ad ampie fasce di colore. Dato che la sua mansarda è troppo piccola per ospitare l’opera, l’artista ne dipinge un pezzo alla volta fissando al muro solo una porzione di tela alla volta. Vedrà il lavoro nella sua interezza solo vent’anni dopo la sua realizzazione, nel 1917, quando cambierà appartamento.
[4] Nel cristianesimo, l’Ingresso di Gesù a Gerusalemme è ricordato durante la Domenica delle Palme, che precede la Pasqua. In questo giorno si ricorda il trionfale Ingresso a Gerusalemme di Gesù, in sella a un asino e osannato dalla folla che lo salutava agitando rami di palma (Gv 12,12-15[1]).
[5] L’autore del busto di Ensor du Rik Wouters.
[6] Cfr. “Ensor”, di Ulrike Becks-Malorny, ed. Taschen, 2006, pag. 92
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Punk di formazione, da sempre si occupa di arte contemporanea e controculture.