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Tutti lo amano, lo celebrano e lo elogiano. Se ci piace così tanto non può essere un caso.
Pittore alle prese con la copia di un Caravaggio al Kunsthistorisches Museum in Vienna. Foto di Wolfgang Bayer.
Se credi che Caravaggio sia un genio assoluto, ti sbagli. Possiamo dire che a te, ai tuoi amici e alla tua società, sembra un genio. Ti basterebbe però fare un salto nel ‘700 per renderti conto che, a pochi anni dal decesso di Caravaggio, era ritenuto un artista ben poco interessante. Le poche persone che ancora lo ricordavano, lo ritenevano “una bolla di sapone” nella storia dell’arte, che aveva suscitato tanto scalpore in vita a causa dei suoi scandali ma in fondo era un autore rozzo e senza poesia.
È chiaro che ogni periodo storico manifesti una sua particolare sensibilità. Ogni società vive la sua età tecnologica, sviluppando un immaginario di riferimento e delle problematiche particolari a cui è suscettibile. Michelangelo Merisi[1] sembra aver dipinto per la nostra epoca.
A Caravaggio sono toccati due secoli e mezzo di dimenticatoio. Poi, nell’arco del ‘900, è bastato che qualche storico dell’arte ne parlasse per far scoppiare un successo senza precedenti: ora tutti lo amano, i critici spendono fiumi d’inchiostro su di lui e, sopratutto, è uno degli autori classici più guardati dagli artisti contemporanei.
A cavallo tra il ‘500 e il ‘600, Michelangelo Merisi è riuscito a indovinare le cifre stilistiche attualmente utilizzate da tanti dei nostri migliori artisti odierni. L’atmosfera inquieta, la grande espressività e le ampie campiture vuote che minacciano d’inghiottire tutto.
Il fatto che ci troviamo a condividere con lui questo immaginario non è un caso. La sensibilità che lo avvicina ai nostri tempi va ben oltre a una banale questione estetica. Tra l’uomo contemporaneo e Caravaggio c’è una sintonia emotiva e psicologica molto profonda.
È noto che Caravaggio fosse ossessionato dall’idea della morte. È questo pensiero destabilizzante che l’ha portato a sviluppare un immaginario tetro e minaccioso. La morte l’ha perseguitato anche a livello biografico: da bambino ha perso il padre a causa della peste (fatto che l’ha gravemente traumatizzato), nel 1606 ha ucciso un uomo e, da quel momento, una pena di decapitazione ha peso sulla sua testa costringendolo a una vita da fuggiasco. Oltre a questi fatti eclatanti, dai ventidue anni in poi ha vissuto una vita impregnata di violenza, frequentando malviventi di ogni sorta e procurandosi diversi nemici che avrebbero potuto mettere a repentaglio la sua vita[2]. La morte è stato un evento che l’ha minacciato fisicamente e psicologicamente.
La ritroviamo in ogni suo quadro: dove non appare una morte palesata, c’è sempre una foglia che si sta seccando, un teschio umano che ci ammonisce, un violino a cui si stacca una corda (simbologia mortuaria tipica delle vanitas). È questo tormento interiore che lo porta a contrapporre tanto vuoto al pieno, tanto buio alla luce.
Coincidenza, la morte e la perdita sono tra le tematiche più sentite dall’arte contemporanea. L’arte d’altronde ci rappresenta, è la portavoce delle nostre paure e delle nostre preoccupazioni. Oggi, le inquietudini che ci appartengono, si materializzano sempre più spesso in opere che deperiscono, marciscono, si sciolgono, senza lasciare traccia. Sono lavori che portano a galla alcuni temi caldi a cui siamo particolarmente sensibili: il trauma d’abbandono, la perdita e la solitudine.
Queste inquietudini sono legate al nostro determinato ambiente sociale, alla nostra modernità “liquida”[3], all’impossibilità di creare relazioni solide in un ambiente collettivo in fase di decadimento. È così che noi ci ritroviamo a brancolare in quello stesso buio funereo di Caravaggio, soli e angosciati, alla ricerca della luce. E finiamo per creare opere che sono delicati equilibri tra pieni e vuoti, in cui la fragilità del nostro essere è minacciata da grandi spazi asettici.
Se vuoi scoprire la relazione tra arte contemporanea e morte vai all’articolo: La tua morte secondo Cacciari
Mostra di Gerhard Richter al Poumpidou centre di Parigi 2012. Come possiamo notare dai dipinti di questo grande maestro, il tema della morte è sempre presente nelle opere dei più importanti artisti contemporanei.
Ma c’è di più.
Caravaggio è stato uno dei primi artisti italiani a servirsi della camera ottica. Questo strumento è stato il progenitore della macchina fotografica e, nonostante non fosse in grado di fissare l’immagine su una superficie, poteva proiettarla come se fosse una diapositiva. L’artista poteva quindi ricalcare la scena da lui predisposta, con tanto di attori, raggiungendo un realismo spietato.
È una tecnica che gli ha anche permesso di concepire luci e tagli totalmente innovativi, non pensabili senza l’ausilio di una tecnologia simile. Tutto ciò, gli ha consentito di raggiungere un risultato estetico che si avvicina molto al nostro repertorio immaginifico, legato alla fotografia.
Addirittura, le sue luci intensissime, tendono a creare un appiattimento dell’immagine molto simile a quello del flash fotografico. A questo genere di appiattimento visivo, dovuto alla visione quotidiana d’immagini stampate o su schermo piatto, noi contemporanei siamo completamente assuefatti. Per questo motivo Caravaggio ci sembra molto più moderno rispetto a tutti i suoi colleghi seicenteschi. Ovviamente, c’erano molti artisti che, come lui, utilizzavano la camera ottica ma non sono stati in grado di trovare quella sobrietà, data dalle campiture piatte e dalla presenza dei vuoti, che evitava un eccesso di decorativismo.
Caravaggio, “La flagellazione di Cristo alla colonna”, 1607, Musée des Beaux-Arts a Rouen.
La camera oscura è una scatola o una stanza (“camera”, appunto) con un forellino in uno dei lati. È in grado di proiettare al suo interno una immagine reale che gli viene anteposta: l’immagine può quindi essere ricalcata in modo da produrre una rappresentazione molto realistica.
Insomma, non solo la tecnica fotorealistica ma anche la sua poetica particolare l’hanno portato a dialogare con noi, tanti secoli dopo.
La presenza di un vuoto lacerante, di un appiattimento e di un taglio fotografico lo rendono uno dei nostri. Il cittadino onorario dell’arte contemporanea.
Se vuoi scoprire un artista contemporaneo che si ispira alle opere di Caravaggio, vai all’articolo Nicola Samorì, il Caravaggio dark.
[1] Nome originale del Caravaggio. Il suo soprannome deriva dal paesino di Caravaggio, in provincia di Milano, da cui provenivano i genitori dell’artista.
[2] Cfr. Andrew Graham-Dixon, Caravaggio – Vita sacra e profana, ed Mondadori, 2014, Milano
[3] Zigmunt Bauman, Modernità liquida, ed. Laterza, 2010, Bari
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Punk di formazione, da sempre si occupa di arte contemporanea e controculture.