L’arte Post Human esplora delle tematiche scottanti della società contemporanea. Tecnologia, ecologismo e critica sociale si mescolano in un mix esplosivo.
Vi propongo una panoramica che ripercorre le ricerche principali e gli artisti chiave che hanno dato forma a una delle correnti più radicali e inquietanti degli ultimi decenni.
Stelar indossa uno dei suoi esoscheletri meccanici, 2017. Foto di Willie Kerkhof.
L’arte Post Human è una delle manifestazioni più potenti del nostro tempo. Scava oltre i confini dell’umano, spingendosi verso creature ibride, artificiali, mutanti.
Alcuni artisti l’hanno utilizzata per fare sperimentazione tecnologica. Per altri è diventata un campo di ricerca contro il pensiero antropocentrico. Altri ancora usano l’arte Post Human come arma affilata per condurre una critica sociale contro l’ipercapitalismo e il culto del consumo, colpevole di averci de-umanizzato e tramutati in merce. Negli anni il Post Human ha quindi assunto diverse sfaccettature, che lo rendono complesso e avvincente.
Si tende ad associare il Post Human a un movimento degli anni ’90, periodo in cui l’arte contemporanea si è concentrata in modo particolare sul tema dell’identità. Nonostante in questo decennio ci sia stata un’effettiva esplosione della corrente, è però vero che alcuni artisti avevano intrapreso questa ricerca già molto prima.
Tra i pionieri dell’arte Post Human c’è Stelarc, che da metà anni ‘70 sfida i limiti del corpo umano, con l’obiettivo di trovare un rimedio alla nascita e alla morte biologica. È noto per aver spesso sperimentato innesti tecnologici sul suo corpo, come l’introduzione di organi digitali sottopelle o l’installazione di esoscheletri meccanici indossabili. Questo artista sogna un corpo senza limiti e confini, quindi potenzia le sue prestazioni corporee tanto da avvicinarsi al concetto di cyborg.
Tra i precursori troviamo anche Marcel·lí Antúnez Roca, performer spagnolo che nel 1979 fondò il gruppo artistico La Fura dels Baus, esplorando le potenzialità di robot umanoidi, ibridando materia organica e inorganica. Negli anni ’90 ha intrapreso un percorso artistico individuale, continuando l’indagine su delle creature meccatroniche interattive.
I precursori sono dunque artisti che affidano l’evoluzione umana alle nuove tecnologie, sperimentandone le potenzialità. Le loro ricerche sono profondamente vicine alla filosofia del Transumanesimo.
Marcel·lí Antúnez Roca, “JOan l’hombre de carne”, 1983. Foto di Juande Jarillo, scattata alla mostra antologica “Sistematurgia” del 2014 al Santa Monica di Barcellona.
Il termine “Post Human” venne coniato nel 1992 dal gallerista Jeffrey Deitch come titolo di una mostra da lui organizzata. L’esposizione presentava le opere di giovani artisti che indagavano l’uso dell’ingegneria genetica e della biotecnologia, proponendo corpi anomali. Il focus della mostra si concentrava sulla ricerca di una nuova identità dell’essere umano, mutato dalla tecnologia e dalla rimessa in discussione dei ruoli sessuali e sociali.
In questo stesso decennio, in Francia, l’Orlan[1] iniziò a sottoporsi ad interventi chirurgici per alterare il suo aspetto, contravvenendo ai canone estetici naturali. Contemporaneamente Matthew Barney realizzava lungometraggi artistici in cui appariva in forme non umane, come quella di un satiro o di un ariete, proponendo un’identità antropomorfa in continua mutazione. Anche alcuni artisti della Young British Art, come i fratelli Chapman, proponevano esseri orrorifici riconducibili alla ricerca Post Human, aggiungendo una nota profondamente distopica. Le loro installazioni mostravano una deriva raccapricciante dell’ingegneria genetica e delle manipolazioni del DNA.
Nel frattempo, numerosi autori iniziarono a lavorare in ambiti legati alla cultura popolare, introducendo elementi post-umani nel cinema, nella moda, nella pubblicità e nel teatro. Primo tra tutti il regista David Cronenberg, che ha portato su pellicola un immaginario post-umano, indagando delle inquietanti identità ibride, nate dalla fusione tra il corpo umano e la cibernetica. I suoi film sono capolavori sostenuti da un pensiero distopico cupo e profondo che si è diffuso nella cultura popolare.
Negli anni ’90 vediamo attivo anche il regista Chris Cunningham che porta l’arte post human nei videoclip musicali, come quelli realizzati per Björk e Aphex Twin, popolandoli di cyborg e mutanti. Il suo immaginario visivo si avvicina al filone cyberpunk, connotato però da un’estetica decisamente dark.
Nello stesso decennio, emergono artisti che utilizzano il linguaggio Post Human per condurre una critica feroce alla società capitalistica.
L’esempio più emblematico è Paul McCarthy, che mette in scena un mondo svuotato di sensibilità e moralità, dove l’essere umano è stato completamente mercificato, anche nei suoi aspetti più intimi. Passato alla storia come uno degli artisti più cinici e provocatori, McCarthy esprime un disgusto radicale per la società di massa, utilizzando i prodotti di consumo per costituire una macchina scenografica disgustosamente grottesca e kitch. La sua è un’offensiva visiva contro i pilastri dell’intrattenimento, del fast food, della pornografia e del sistema dell’arte stesso.
Paul McCarthy, “She Man”, 2004. L’opera rappresenta un corpo femminile usato da una mente maschile. Foto di radioross.
Con l’inizio del 2000, entrano in scena artisti come Patricia Piccinini, Karin Andersen, Ray Caesar e Daniel Lee, i quali danno forma a creature non umane che mettono in discussione la visione antropocentrica del mondo. I loro sono esseri che conservano una memoria umanoide, ma appaiono come possibili evoluzioni di specie animali non identificate.
Al centro della loro ricerca c’è anche una forte sensibilità ecologica, che porta il dibattito culturale a concentrarsi sui soprusi dell’uomo nei confronti del pianeta, sul rispetto della biodiversità e sull’equilibrio ambientale. Se l’Umanesimo aveva posto l’uomo come unità di misura del mondo, l’arte Post Human cerca un nuovo sistema di valori: più eco-centrico e interspecie, meno ego-centrato.
Queste sono, in sintesi, le principali sfaccettature assunte dall’arte Post Human nel corso del tempo. Un’estetica che rappresenta con lucidità estrema i paradossi e le ossessioni di un mondo iper-consumista, egocentrico, desensibilizzato e tecnologicamente esasperato.
Ci siamo spinti troppo lontano dalla nostra condizione naturale originaria. E nel farlo, abbiamo smesso di essere ciò che eravamo.
Non siamo più umani. Siamo diventati altro.
Patricia Piccinini, “Undivided”, 2004. Foto di Hans Olofsson.
Karin Andersen, “Pasazieris”, 2008. Foto di Shenker Inglese.
Se vuoi sapere di più sulla scuola di pensiero seguita da Stelarc e altri autori, vai all’articolo sul Transumanesimo.
[1] Pseudonimo di Mireille Suzanne Francette Porte.
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Punk di formazione, da sempre si occupa di arte contemporanea e controculture.