Alessandro Ferri, in arte Dado, è uno storico writer bolognese, la cui fama varca i confini nazionali. In molti lo conoscono per i suoi vorticosi graffiti tridimensionali, caratterizzati da una geometria complessa e dinamica. Non tutti sanno però che è anche un pensatore raffinato, che ha dedicato al writing riflessioni teoriche, lezioni universitarie e un saggio intitolato “Teoria del writing. La ricerca dello stile”. Il suo approccio, unico nel panorama internazionale, merita di essere conosciuto.
Da un po’ di tempo io e Catalina stiamo riflettendo sulla portata culturale del writing. Per questo motivo, una mattina di primavera, siamo andate a trovare Dado, ovvero Alessandro Ferri. Si tratta di un noto writer bolognese, che ha dato un contributo importante anche sul piano teorico e ha una visione sorprendentemente articolata della questione. Eravamo curiose di conoscere più a fondo il suo punto di vista.
Seduti nel suo studio, ci siamo posti una domanda: com’è possibile che, dopo oltre cinquant’anni, i graffiti non accennino a scomparire? Nonostante siano nati alla fine degli anni Sessanta, i giovani non li percepiscono come qualcosa di “vecchio”.
È un dato sorprendente, se pensiamo che questa sorte è toccata a quasi tutte le altre forme d’espressione artistica. Oggi non vediamo adolescenti che compongono la musica dei Beatles, di Guccini o dei New Trolls, né che si cimentano nell’arte informale di Emilio Vedova. Eppure, trovano attuale proporre un throw-up identico a quello che avrebbe realizzato un ragazzo del Bronx nel 1972.
Dado un’idea se l’è fatta, e la sua risposta è spiazzante: forse il writing non è una semplice forma d’arte. Secondo lui, si tratta di un linguaggio universale, al pari della musica, della matematica o della danza. Ma cosa definisce un linguaggio? Deve possedere un codice riconoscibile, ripetibile e modulabile; deve saper emozionare attraverso la retorica e, soprattutto, dev’essere partecipato: qualcuno lo deve parlare.
Secondo le analisi di Dado, il writing risponde a tutte queste caratteristiche. In effetti, osservando i muri delle città si ha l’impressione che i writer dialoghino tra loro.
<Un linguaggio, se lo parli da solo, non serve a niente: deve esserci qualcuno che ti risponde>, ci spiega. I graffiti si coordinano, condividono sfondi, si citano in segno di fratellanza o si sfidano sovrapponendosi e contrastandosi. Potrà sembrare un linguaggio tribale, ma certamente è una forma di comunicazione.
Dado tiene a precisare che il writing non è un linguaggio solo perché usa parole: quel testo è spesso illeggibile e non interessa a nessuno. Il writing va interpretato attraverso un codice grafico e compositivo. Si esprime tramite la raffigurazione visiva di suoni. Per chiarire il concetto, Dado ci propone una metafora: i graffiti sono come la musica classica, privi di testo, ma capaci di suggerire un tema, un concetto. Come il suono, i pezzi rimbalzano sulle pareti, si ripetono generando un’eco, un riverbero nello spazio.
Se i graffiti funzionano come la musica, ecco spiegato perché molti writer dicono di seguire il flow mentre disegnano. Stanno interpretando un impulso ritmico, un’onda, come se stessero improvvisando una melodia.
Dado, Parc des Cormailles, Ivry sur Seine, Francia. Foto di Anne-Christelle.
Il punto zero di un linguaggio
Il writing è un mezzo di comunicazione poco accreditato a causa delle sue umili origini. Non è stato concepito nelle università, né nelle aziende all’avanguardia. Non ha avuto bisogno di linguisti, ingegneri o tecnologie sofisticate. È nato per mano di adolescenti emarginati, all’inizio degli anni Settanta, che con ingenua spontaneità hanno creato un ribaltamento concettuale: hanno rovesciato il significato della scrittura, cambiando per sempre il volto delle città.
Dado lo chiama “il punto zero”: è il momento in cui la scrittura è diventata disegno. Tracciando un contorno (outline) intorno alle lettere, i primi writer hanno trasformato il testo in immagine. Dicevano di scrivere sui muri, ma in realtà disegnavano le scritte. La parola ha perso il significato letterale e ha acquisito un valore grafico.
<Hanno cominciato a dire che la scrittura era armata, che la scrittura era angelica, che era qualcos’altro>, ricorda Dado.
Le lettere, svuotate del senso tradizionale, erano pronte per essere riempite di nuovi significati. Inoltre, questi ragazzi mentre disegnavano sembravano danzare: un gesto fluido, performativo, che fondeva scrittura, disegno, ballo e musica. Questo è il vero punto di rottura: la nascita di un linguaggio ibrido, risultato della fusione di diverse discipline.
Graffiti su un muro del Bronx. Foto di Lois Stavsky.
Alcuni teorici tendono a minimizzare la portata di questa intuizione, sostenendo che questo tipo di ribaltamento è tipico dell’arte d’avanguardia, a cui questi ragazzi possono essersi ispirati. Ma Dado ribatte con decisione, ponendo una domanda ragionevole: quanto è realistico pensare che dei dodicenni del Bronx nel 1972, provenienti dal sottoproletariato, conoscessero le sperimentazioni di John Cage, Tristan Tzara o Marinetti?
Inoltre, i linguaggi d’avanguardia sono rimasti alla mercè di pochi intellettuali, per poi essere assorbiti solo in maniera parziale e diluita dalla cultura pop. Invece il writing si è affermato come linguaggio di massa immediatamente comprensibile da ogni adolescente, in ogni città del mondo. Le differenze tra sperimentazioni artistiche e codici nati dal basso sono profonde, e non possono essere ignorate.
Un linguaggio partecipato
La vera differenza tra le avanguardie e il writing è che i writer non sono artisti. Chiunque può fare graffiti: il giardiniere, il meccanico, il medico, lo studente delle medie.
Durante la nostra conversazione, Dado ci ha spiegato che raramente i writer si considerano artisti. Ognuno sviluppa un proprio stile, ma lo fa partendo da modelli comuni, modificandoli, remixandoli.
Il writing non è legato al genio individuale, ma a una pratica collettiva. È un codice condiviso che si evolve grazie al contributo di tutti. Il processo creativo si basa su contaminazioni continue tra autori. È un’evoluzione nel dialogo, ben lontana dall’intuizione dell’artista visionario.
In quest’ottica, il writer somiglia più a un artigiano. È un operaio che fa la sua parte, devoto a una causa comune. Non è promosso dal sistema dell’arte, non ha curatori, né gallerie a supportarlo. Per finanziarsi, deve dipingere serrande, lavorare nei locali, partecipare alle jam: deve guadagnarsi le bombolette e la libertà di fare i suoi pezzi. È un altro tipo di lavoro, più umile.
Graffiti a New York. Foto di David Schroeder.
Il processo creativo dei writer consiste nel copiare, rubare e rimescolare. Dado, più che paragonarli a degli artisti, li paragona ai DJ: prendono immagini esistenti, ne cambiano il ritmo, le mixano, le rallentano, le accelerano. Ascoltano come suonano. Invitano gli altri a fare lo stesso.
Inoltre, il writing si fonda su un gesto spesso trascurato dall’arte alta: la ripetizione.
<Ripetiamo un gesto per prenderne coscienza o per migliorarci> spiega Dado. Come in ogni disciplina, la tecnica si affina con la pratica. La scrittura del proprio nome diventa un mantra: la parola deve essere ripetuta tante volte fino a che non perde significato, per poi acquisirne uno nuovo. Secondo l’esperienza di Dado, la composizione emerge da questa ripetizione continua e ossessiva, che muta nella forma e nel contenuto, crescendo con lo scrittore stesso.
Dunque, se il writing è un linguaggio, è perché permette di comunicare con gli altri, ma anche con noi stessi. Non ha bisogno di istituzioni per essere legittimato, né di musei per essere conservato. Vive sui muri, nei sottopassi, nei treni in corsa, ovunque ci sia qualcuno disposto a usare il suo codice. E finché ci saranno persone che prendono parte al dialogo, questa grammatica continuerà ad esistere.
Dado Ferri, Brooklyn, NY. Foto di GaliciaChris.
Dado Ferri al lavoro. Foto di Ruud Onos.
Ringraziamo Dado per aver condiviso con noi le sue riflessioni!
Vi invitiamo a seguirlo sulle sue pagine Facebook, Instagram e sul suo sito web Dado.art.
Se ti interessa saperne come si è sviluppato il writing, vai all’articolo: Ti scarabocchio il muro! Storia si un movimento di massa.
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Punk di formazione, da sempre si occupa di arte contemporanea e controculture.