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CIUDAD JUÁREZ. LA FRONTIERA DELLA PERDIZIONE

Narcotraffico e violenza

Roberta Dibartolomeo11 Luglio 2025

Ricostruzione storico-politica di ciò che è accaduto a Ciudad Juárez e nelle città di frontiera messicane. Vi racconto i motivi che hanno reso questo territorio fertile per il narcotraffico e le conseguenze che la popolazione paga tutt’oggi.

Ciudad Juárez

 Ciudad Juárez. Foto di r.

 

“-Padre, ci hanno ammazzati.

-Chi?

-Noi. Attraversando il fiume. Le pallottole fischiavano e alla fine ci hanno ammazzati tutti.

-Dove?

-Là, al Paso del Norte, mentre ci abbagliavano i fanali, in mezzo al fiume.” ¹

Juan Rulfo

Juan Rulfo, uno dei più noti scrittori messicani del Novecento, con La pianura in fiamme ci mostra uno spaccato della penuria degli strati più indigenti della società messicana. Siamo negli anni immediatamente successivi alla rivoluzione messicana, che tuttavia si lascia solo intravedere qua e là tra i racconti.

Con un linguaggio scevro di fronzoli e arido come la terra che descrive, lo scrittore ci informa di una collettività avvilita dagli esiti negativi della rivoluzione messicana. Una collettività tradita dal progetto rivoluzionario e per la quale non c’è speranza di futuro. Anzi sì. Un futuro c’è sempre, ma il loro è quello dei narcos, delle maquilladoras, dei femminicidi, delle migrazioni.

 

Ciudad Juárez, anche detta Paso del Norte, è oggi una delle frontiere maggiormente battute dalla migrazione clandestina in rotta verso gli Stati Uniti, la più importante dello stato del Chihuahua. La posizione strategica, un sistema politico suscettibile di corruzione, l’impunità generalizzata di cui gode la criminalità fanno da catalizzatori affinché oggi sia considerata una delle città più violente al mondo.

APTOPIX Mexico Drug War Weapons

Armi sequestrate ai criminali in Messico, dopo che un’offensiva dei cartelli della droga contro l’esercito ha ucciso più di 10.750 persone, dal dicembre 2006.


 

¡La tierra es para quien la trabaja!
“La terra è di chi la lavora”

Il Messico è uno dei paesi a più alto tasso di criminalità al mondo. Per capire come mai oggi versi in condizioni così critiche, dobbiamo sondare il suo passato.

 

Siamo sul finire dell’800 quando Porfido Díaz prende il comando.
Durante la sua dittatura, detta il porfiriato, il Messico conobbe un’improvvisa crescita economica. Questo evento tuttavia non portò a un’equa spartizione delle ricchezze, poiché il sistema economico di allora, legato all’agricoltura e all’estrazione mineraria, era ancora caratterizzato da dinamiche feudali e dalla dipendenza economica dal capitale straniero.

Nel concreto, questa crescita portò solo ad acuire le differenze sociali già presenti sul territorio. La terra era infatti quasi totalmente detenuta da grandi latifondisti e da piccoli e medi proprietari, mentre 12 milioni di braccianti, i peones, vivevano miseramente, sfruttati e sottoposti a brutali violenze².

Fu un periodo di profonda contraddizione: mentre i settori delle esportazioni e dell’estrazione mineraria crescevano, il mercato interno era in deflagrazione e i messicani faticavano a reperire i più basilari prodotti di consumo quotidiano.

 

Furono queste le tensioni che portarono allo scoppio della rivoluzione messicana nel 1910, una sanguinosa guerra civile che causò non meno di 500.000 vittime.

 

Le elezioni del 1911 sancirono la vittoria di Francisco Madero, sostenuto sia dalla classe media che invocava un regime costituzionale moderno, sia dal ceto popolare, che bramava una riforma agraria a favore della redistribuzione delle terre. Il leader caldeggiò diverse iniziative di stampo progressista, ma non si impegnò concretamente per la promessa riforma agraria suscitando il risentimento dei peones.

La rivoluzione terminò nel 1917 dopo che il susseguirsi di scontri armati, capeggiati da Francisco Pancho Villa ed Emiliano Zapata, portò alla promulgazione di una costituzione che garantisse i diritti e le libertà fondamentali ai cittadini messicani.

 

Dalla rivoluzione nacque il Partido Revolucionario Istitucional (PRI), che rimase al governo dal 1929 al 2000 garantendo un certo sviluppo, ma generando contemporaneamente un ambiente problematico. Accentrò il potere nelle mani della classe media e appoggiò la corruzione. Creò cioè i presupposti per lo sviluppo di due importanti fenomeni che faranno capolino nel Messico degli anni Settanta: il considerevole flusso migratorio verso l’America settentrionale e lo sviluppo del narcotraffico in una zona che fino ad allora non aveva destato interesse.

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Parabrezza di un auto crivellata da 50 proiettili, nel 2009, in Messico. Il narcotraffico causa continue vittime e azioni d’intimidazione. Foto di 

 

 

Il Messico contemporaneo: maquilladoras, narcos e misoginia

La dipendenza dell’economia messicana dai paesi stranieri peggiora nel corso del Novecento, con l’avanzare del mercato globale e i paesi più ricchi ne percepiscono la sfruttabilità.

 

Intorno alla seconda metà del Novecento Juárez si apre all’industrializzazione per effetto delle maquiladoras, industrie che sfruttano il vantaggio competitivo derivante dall’importazione della materia prima, esente da tassazione fiscale e dal basso costo del lavoro. Queste industrie, tipicamente messicane e installate in aree di confine, lavorano lamateria prima ed esportano il prodotto finito negli Stati Uniti e in altri paesi.

Le maquilas vengono introdotte in Messico negli anni Sessanta con il Programa de industrializazión Fronteriza. In seguito, l’accordo North American Free Trade Agreement (NAFTA) del 1994, eliminò le barriere doganali tra i suoi membri- Canada, Stati Uniti e Messico- favorendo una naturale dislocazione delle imprese statunitensi verso il Messico, dove la manodopera costava poco ed era possibile sottrarsi alla regolamentazione governativa.

Secondo un articolo del New York Times, nel 2018, il settore delle maquilladoras impiegava circa 2,5 milioni di lavoratori in Messico. Le donne rappresentano più della metà della forza lavoro in queste industrie.

Sono spesso ragazze povere, poco istruite e con figli, scappate dalle zone rurali. La maggior parte delle lavoratrici hanno tra i 15 e i 35 anni”³ chiarisce Solidar.

 

Il Narcotraffico

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Arresto di Miguel Ángel Félix Gallardo. 

 

Dagli anni Settanta Ciudad Juárez diviene anche un territorio fertile per il narcotraffico. È particolarmente significativo che la nascita dei cartelli della droga messicani possa imputarsi ad un ex agente della polizia giudiziaria federale messicana, Miguel Ángel Félix Gallardo, già contrabbandiere di oppio e marijuana negli Stati Uniti.

È lui il primo messicano a fare da collegamento con i cartelli colombiani. 

 

Durante gli anni Ottanta il cartello di Medellin di Pablo Escobar era il maggior esportatore di cocaina e trattava con le organizzazioni criminali di tutto il mondo. Il Messico si trovava in una zona strategica per trasportare la cocaina negli Stati Uniti via terra. Inizialmente i messicani si occupavano esclusivamente del trasporto; in seguito vennero coinvolti anche nella distribuzione, diventando a loro volta narcotrafficanti.

Per efficientare l’organizzazione, Gallardo assegnò poi ad organizzazioni minori le piazze di spaccio e gli itinerari del narcotraffico, continuando comunque a supervisionarle, almeno fino al suo arresto avvenuto nel 1989.

Agli albori degli anni Novanta nacquero i primi conflitti tra i cartelli che, divenuti più o meno indipendenti l’uno dall’altro, competevano per l’egemonia sul territorio. Dal 2010 i cartelli più influenti si sono associati in due fazioni, una composta dai cartelli di Juárez, Tijuana, Beltrán-Leyva e dai Los Zetas, l’altra dai cartelli del Golfo, Sinaloa e dalla familia Michoacana.

 

Molti analisti concordano nel sostenere che tra i fattori concomitanti allo sviluppo del narcotraffico messicano la perdita del potere politico del PRI sia stato tra gli elementi principali⁴. 

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Stiker con il volto di Pablo Escobar. Foto di .

 

I cartelli si sono imposti sul territorio e competono tra loro con guerriglie, sparatorie, atti intimidatori per il predominio dei corridoi coinvolgendo la popolazione, incutendo angoscia e senso di insicurezza. Non di meno vengono diffusi filmati di esecuzioni, mostrati per le strade corpi decapitati accompagnati da macabri messaggi diretti a gang rivali direttamente incisi sui corpi delle vittime; addirittura comparvero striscioni che sfacciatamente pubblicizzano posti di lavoro in alcuni dei gruppi criminali più temibili⁵.

Queste azioni vengono messe in atto per comunicare chi stia vincendo la guerra contro lo stato, oltre che per scoraggiare gli agenti governativi e demoralizzare la popolazione.

 

Quando cittadini o giornalisti criticano un cartello della droga stanno criticando il governo locale, e quando denunciano il governo locale stanno denunciando un cartello”⁶ asserisce irreprensibilmente il giornalista messicano Jeorge Luis Aguierre nel 2010.

 

Il giornalista ricevette per tale dichiarazione minacce di morte, e in seguito fu provato che le intimidazioni provenivano proprio dal governo dello stato del Chihuahua. Se la competizione per il controllo del territorio tra bande approda su corpi mutilati, getta teste mozzate sulle autostrade, sparge brandelli di persone sulla terra, come potrebbe non ambire ad infiltrarsi direttamente negli apparati statali, o a non corrompere le forze di polizia, per trarre vantaggio rispetto al cartello competitore?

D’altro canto non fu proprio un poliziotto a consacrare il narcotraffico in Messico?

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Madri in manifestazione che mostrano le foto dei figli scomparsi. 

 

Femminicidi e misoginia

In questo clima di efferatezza, come se non bastasse, oltre alle morti connesse alle guerriglie tra bande e alla criminalità organizzata, dagli anni Novanta comincia a registrarsi un alienante incremento dei femminicidi che ha destato particolare preoccupazione a livello nazionale e internazionale, e che pare non avere soluzione di continuità.

 

La natura occulta di queste morti associata all’incuria con la quale vengono svolte le indagini, rende difficile produrre una stima delle donne uccise, ma già da anni Amnesty International parla di almeno 400 vittime all’anno.

Le vittime sono giovani donne, sole, distanti dalle proprie famiglie e senza protezione, spesso trapiantate a Juárez e schiavizzate nelle maquilas. Le vittime perfette per carnefici figli di una società patriarcale e misogina come quella messicana.

A centinaia vengono rapite e subiscono torture, mutilazioni e raccapriccianti violenze prima di essere gettate in fosse comuni, cassonetti, o essere nascoste nella terra.

 

Abbandonate, disperse, dimenticate. Le madri battono la frontiera in cerca dei corpi straziati delle loro figlie, che spesso nemmeno rinvengono. Sembrerebbe che i morti sotterrati in questa terra, ma che abitano i ricordi dei vivi, siano più vivi dei vivi stessi e che i vivi vivano soltanto per ricordarsi dei morti. Così l’ossessione della morte violenta diventa una terribile angoscia che schiavizza anche i vivi.

Teresa Margolles

Volantini di ragazze scomparse, su un pannello a Ciudad Juárez, riportato in opera d’arte dell’artista e attivista Teresa Mergolles. Foto di Antonio Mena.

 

 

Ma qual è il nesso tra i femminicidi registrati dagli anni Novanta ad oggi, e la presenza massiccia dei narcos?

 

Il governo messicano imputa l’aumento dei femminicidi al narcotraffico e alla loro eliminazione da parte di gang rivali, o li associa indirettamente alla criminalità organizzata.
Eppure un’ingente parte delle aggressioni è di stampo sessuale, e il dato è molto più sconcertante se si pensa che le istituzioni tendano ad offuscare il problema sociale anziché osteggiarlo. Quasi nessuno di questi crimini, infatti, viene risolto o quantomeno duramente perseguito a causa della negligenza da parte delle autorità⁷.

Da questo si desume che il nesso sia proprio quello dell’impunità di cui gode la criminalità a Juárez (e più in generale il Messico) appoggiata da un governo che tende ad occultare piuttosto che ad assistere le vittime, a trascurare piuttosto che a condannare, e da istituzioni che sembrano quasi negare l’omicidio di genere. Così lo stato si fa esso stesso stupratore.

 

Ciò nonostante giornalisti, artisti di ogni sorta, ambientalisti e persone comuni, mettono la propria vita sul piatto, pur di non assecondare un terribile sistema, divulgando con rigore e audacia la verità, difendendo il proprio territorio dalla mano clandestina dell’illegalità. E di fronte ad un governo che non assicura il più elementare dei bisogni, quello di sicurezza, le donne con veemenza sfilano nei cortei, rompendo la gabbia dell’omertà, condannando a viso scoperto l’aguzzino.

La necessità di restare vive, vivi, obbliga a non piegarsi alla paura, a non voltare lo sguardo di fronte all’iniquità, a non sottomettersi alle dinamiche perverse di un paese in preda all’empietà.

 

Llamado

Quarantacinquesimo anniversario del massacro di Tlatelolco del 2 ott. 1968, a Città del Messico, quando la polizia messicana uccise dai 50 ai 300 studenti che manifestavano per chiedere delle riforme. L’affermazione scritta “La polizia difenda il popolo, non il suo oppressore” è esplicativa della situazione.

 

 

Se vuoi approfondire questi temi e conoscere un artista messicana che si batte per la giustizia nel suo Paese, vai all’articolo Il messico di Teresa Margolles tra sangue e obitori.

 

 

 

 

1 “Paso del Norte in El llano en llamas”, di Juan Rulfo, 1953.

2 Rivoluzione messicana- Treccani

3 Maquila workers in Central Americ and the Covid-Solidar

4 Political Reform Gave Push to Drug Lords’ Rise in Mexico Jane Bussey-McClatchy Newspapers

5 Macabre drug cartel messages in Mexico, in Losangeles Times

6 Atlante geopolitico Treccani- Violenza politica e narcotraffico in Messico
7 Messico: Amnesty International denuncia le conseguenze delle mancate indagini sui femminicidi


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Roberta
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    Anno di pubblicazione / 1920

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