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LOUISE BOURGEOIS TRA NEVROSI E PATRIARCATO

Se nell'inconscio siamo ragni

Chiara Righi11 Luglio 2024

Quest’estate l’Italia celebra Louise Bourgeois. Abbiamo diverse occasioni per osservare le sue opere, che a Roma saranno visibili sia a Galleria Borghese sia a Villa Medici fino al 15 settembre, mentre a Firenze a Palazzo Novecento e all’Istituto degli Innocenti, fino al 20 Ottobre 2024.

 

Prima di partire però è meglio aver ben presente chi è stata Louise Bourgeois e prepararsi psicologicamente. Infatti, il disagio che ha vissuto da bambina l’ha spinta ad elaborare immagini davvero angoscianti. La sua storia è un’importante testimonianza della condizione subita dalle donne nel ‘900, nonché dei traumi psichici nascosti nel nostro inconscio. 

Louise Bourgeois

Louise Bourgeois, “Maman”, 1999, Bilbao. Foto di .

 

<Tutto quello che produco è ispirato ai miei primi anni di vita. Ogni giorno devi disfarti del tuo passato oppure accettarlo, se non riesci ad accettarlo diventi scultore.[1]>

Louise Bourgeois

 

 

Sapevi che tutti i mostri di Silent Hill 2 sono ispirati alle opere di Louise Bourgeois?

Non è un caso se l’art director abbia scelto proprio lei come punto di riferimento, dato che la trama di questo videogioco horror è legata ad abusi, violenze e a un femminicidio. Solitamente, davanti alle sue opere le donne provano un’angoscia viscerale e gli uomini un profondo senso di colpa. Sono perfette per un videogioco che ha lo scopo di instillare ripugnanza e terrore. L’efferatezza delle sue creazioni la si deve a un’infanzia complessa, costellata di sofferenza e disagio.

 

Se Freud ci ha insegnato quanto la famiglia sia un focolaio di nevrosi, Louise Bourgeois ci spiega esplicitamente quali sono le conseguenze della vita in una famiglia patriarcale, vissuta accanto a un padre autoritario e una madre sottomessa. Le immagini che emergono dal suo inconscio sono profondamente intrise di una sessualità conturbante e un profondo senso di tradimento da parte dei genitori.

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Louise Bourgeois, “Cumul I”, 1969.

 

 

 

Louise è nata il 25 dicembre 1911 a Parigi, in una famiglia borghese che si occupava di commercio e restauro di arazzi antichi. È la secondogenita in una casa apparentemente felice, che presto diventa un luogo ambiguo e promiscuo, a causa dell’egoismo del padre. Infatti, quando era ancora bambina, con la scusa di prendere una tata che si occupasse di lei e le insegnasse la lingua inglese, introdusse in casa loro una giovane ragazza britannica chiamata Sadie. Entro breve ne fece la sua amante, senza nascondere alla figlia le attenzioni sessuali riservate alla tata.

Louise, anche se piccola, si rende conto di essere usata come pedina per gli sporchi affari dal padre. D’altro canto, non riesce a capire perché sua madre tolleri tutto questo. L’immagine di quella donna forte che guidava la famiglia e l’attività commerciale, amorevole madre e bravissima tessitrice, crolla. Diventa quella di una donna sottomessa, impossibilitata a reagire per non perdere il proprio status sociale. Infine, si tramuta in una madre che la utilizza a sua volta per mantenere un rapporto con il padre, tanto disperata da tollerare la presenza dell’amante in casa per ben 10 anni.

 

Ci sono fonti che azzardano uno scenario ancora peggiore. Secondo queste il padre avrebbe avuto continue relazione extraconiugali e avrebbe portato più volte la figlia con sé nei bordelli, con il solo compito di aspettare che lui concludesse. Non è però chiaro quanto queste voci siano attendibili e quanto frutto di dicerie popolari[2].

Comunque sia, è dai ricordi d’infanzia che emerge il disagio psicologico che Louise Bourgeois esprime nelle sue opere. Da tutti i materiali (legno, marmo, bronzo, lattice, gesso, alabastro, plastica e stoffa), emergono figure organiche somiglianti a organi sessuali. Tutto lascia intendere un rapporto violento con l’intimità, con le trasformazioni subite dal proprio corpo e gli inaccettabili desideri inconsci.

 

 

Mio padre mi ha tradita non essendo quello che ci si aspettava da lui. Prima di tutto, abbandonandoci per andare in guerra e poi trovando un’altra donna e portandocela in casa. Si tratta semplicemente di regole del gioco e in una famiglia le regole del gioco sono tali che un minimo di rispetto è dovuto.

Louise Bourgeois 

spider by Louise Bourgeois

Loise Bourgeois, “Spider III, 1995. Foto di . I ragni dell’artista sono sempre allusioni alla figura materna. 

 

 

 

Louise iniziò a studiare matematica alla Sorbonne, ma interruppe gli studi per assistere la madre malata, sul letto di morte. Prima di andarsene, fu proprio la mamma a darle il consiglio più prezioso: lasciare stare la matematica e dedicarsi all’arte. Infatti, fin da bambina, Louise disegnava nel laboratorio tessile dei genitori, ricostruendo con grande abilità le decorazioni mancanti degli arazzi rovinati.

Seguì il consiglio della madre e s’iscrisse a l’École des Beaux-Arts. Lì scoprì un’enorme passione per la scultura, che la porterà a diventare prima insegnante e, dopo un lunghissimo e complicato percorso, un artista di fama internazionale.

 

Nonostante Louise sia talentuosa e lavori incessantemente, il riconoscimento da parte del mondo dell’arte sembra non arrivare mai. A poco importa il fatto che si sia sposata con un famoso storico dell’arte (Robert Goldwater, da cui ebbe tre figli), che si sia trasferita a New York (centro nevralgico del sistema dell’arte in quegli anni), e si sia inserita nel giro degli artisti “giusti”. Ma soprattutto, sembra non importare che le sue opere siano infinitamente più forti, espressive e significative rispetto a quelle degli artisti celebrati nello stesso contesto e periodo storico.

Louise riceve un riconoscimento tardivo solo quando si avvicina ai settant’anni. Il sistema dell’arte, infatti, tendeva a far prevalere gli uomini, mostrandosi maschilista tanto quanto gli altri settori imprenditoriali. Anche se fortunatamente oggi il fenomeno è sensibilmente diminuito (ma non scomparso, purtroppo!), dobbiamo pensare che nel corso del ‘900 era comune per le donne che intraprendevano la carriera artistica subire continue proposte sessuali e avances da galleristi, giornalisti d’arte, critici, presidenti di fondazioni e direttori museali. Spesso, chi  aveva il potere cercava di approfittarne, promettendo una fama che poi difficilmente arrivava.

Il fatto che la parabola di Louise Bourgeois, una donna pudica e fedele, tardi tantissimo a decollare, non trova altra risposta se non nella discriminazione di genere, e sembra fare eco parole del libro di Linda Nochlin: “Perché non ci sono state grandi artiste?” 

 

<Mio padre provocava in me una continua perdita di autostima. Mia madre rappresentava la fiducia in me stessa. “Non prendertela, sai come sono gli uomini. Dagli ragione, intrattienili; gli uomini sono come bambini.” Mi ha convinta. Era la sua forma di femminismo.>

Louise Bourgeois

 

 

 

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Louse Bourgeois, “Cell I”, 1991. Foto di .

 

 

Nel 1938 Louise si sposa con Robert Goldwater e si trasferisce con lui a New York. Nonostante la nostalgia di casa, Louise si trova a suo agio in America, si sente più libera di esprimersi e di disfarsi del pesante fardello dell’educazione europea. Conosce artisti eccezionali come Marcel Duchamp, Andy Warhol, Joan Mirò e vari esponenti del Surrealismo (che in quel periodo andava per la maggiore a New York).

Si rifiuta però di aderire a qualsiasi corrente artistica, denigrando qualsiasi impostazione autoritaria e le regole di gruppo. Preferisce perseguire la sua ricerca personale, concentrandosi sui temi della nostalgia, della memoria e della solitudine. Spazia dalla creazione di figure totemiche, appuntite e austere, ad altre dall’aspetto sinuoso e fluido.

 

Nel 1966 realizza Le renard (Il regalo), un’esplicita metafora in lattice e stoffa di una grossa vagina. L’impressione organica della scultura è estremamente scabrosa: una rappresentazione indubbiamente conflittuale con la sessualità, in cui la vulva sembra una ferita, un involucro viscido che racchiude brutte sorprese.

Lo stesso meccanismo lo applica all’immagine del pene in Filette nel ’68. Il membro maschile viene ingrandito, reso mostruoso, per nulla seducente. L’artista è anche interessata a mostrare la vulnerabilità dell’organo genitale maschile, che tradizionalmente è un simbolo di potere inflitto alla donna, la quale invece rappresenta il sesso più debole, predisposto a subire. Nei lavori di Louis Bourgeois anche il pene è un essere indifeso, esplicitamente brutto e indesiderabile, che richiede protezione tanto quanto la vagina.

 

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Celebre ritratto fotografico di Louise Bourgeois insieme alla sua opera “Filette”, scattato da Robert Mapplethorpe.

 

 

Nel 1973 muore suo marito lasciandola sola con i figli. Questo evento la mortifica, ampliando la sua solitudine e il senso d’abbandono, già presenti anche per aver lasciato la Francia e il percepirsi perennemente straniera in un altro paese. Le sue opere diventano più conturbanti, senza pace. Risultano sempre più organiche, come sistemi biologici carichi di un erotismo malato, in cui tutte le forme a bulbo ricordano dei seni e quelle allungate falli.

 

Il suo lavoro è sempre più potente, metaforico e feroce. Sono opere intime e pubbliche, che palesano un disagio viscerale in cui tutti possiamo riconoscerci in qualche misura.

Nonostante ciò, le sue creazioni continuano ad essere sottostimate negli anni, tanto che nel 1987 Donald Kuspit si sente in dovere di spendere alcune parole in suo favore nel numero di Marzo della rivista Artforum, sostenendo la forza del lavoro di Louise Bourgeois. Inizia ad essere sempre più palese agli occhi di tutti quanto l’artista sia vittima di discriminazione di genere.

 

 

Arch of Hysteria 1993 Louise Bourgeois ( 1911-2010 )

 Louise Bourgeois, “Arch of Hysteria”, 1993. Foto di .

 

<Esorcizzare fa bene. Cauterizzare, bruciare per guarire. E’ come potare gli alberi. La mia arte è questo. Lo so fare bene.>

Louise Bourgeois

 

 

È sul finire degli anni ‘80 e l’inizio del decennio ‘90 che la situazione cambia. Finalmente l’artista inizia ad essere invitata come esponente degli Stati Uniti ad esposizioni internazionali e, nel 1993 riceve il Leone d’Oro alla carriera alla Biennale di Venezia. Fortunatamente, l’età ormai avanzata (nel 1993 la Bourgeois aveva già 82 anni!), non le impedisce di lavorare con estrema lucidità, procurandole la fama della nonna più feroce del mondo.

 

In questi anni comincia ad amputare ossessivamente degli arti ai suoi manichini di stoffa o di bronzo. Questo succede anche in Arch of Hysteria del 1992-93. L’assenza di gambe e di braccia nel suo lavoro è generalmente indice di impossibilità di difendersi, vulnerabilità. Quando a mancare è anche la testa assume un significato di cecità imposta.

Un altro esempio lampante è l’installazione “Single I” del 1996, dove un manichino è appeso per i piedi, senza mani e senza testa, situato in una stanza che ricorda quella delle torture medievali. Solitudine, agonia e impossibilità di fuggire sono i temi ricorrenti. Ad amplificare ulteriormente la claustrofobia nelle sue opere, è l’uso ricorrente di gabbie metalliche, che imprigionano i soggetti.

cell XXVI 02 2003 bourgeois l (gem museum den haag 2012)

Louise Bourgeois, “Cell XXVI”, 2003. Foto di

 

 

Gli anni ’90 sono anche quelli in cui la Bourgeois comincia a creare la sua serie di orrendi ragni: l’aracnide è da lei interpretato come simbolo di solitudine, morte e maternità. L’opera destinata a scioccare il pubblico è Maman del 1999: un ragno gigantesco, alto più di 10 metri! È un ritratto di sua madre, una creatura protettiva e repellente, che tesse velocemente la sua tela.

Ancora una volta l’ombra del suo passato ritorna, creando attrazione, stupore e repulsione.

 

Nel frattempo i suoi manichini si svuotano, si mutilano, si accoppiano e si schiacciano.

Il 2002 è l’anno di Knife woman (“Donna coltello”): l’artista, già novantenne, elabora una sagoma di donna in feltro con le cuciture ben in vista, priva di braccia, testa e di una gamba. È trafitta da una lama di metallo a due punte, un coltello a doppio taglio che da una parte trafigge il corpo femminile e dall’altra diventa la sua arma. Rappresenta la donna offesa dall’uomo che, incattivita dalla sofferenza, tenta di difendersi nella stessa maniera, mimando il potere maschile. Il corpo giace trafitto a terra, senza possibilità di movimento a causa dell’assenza di arti, tentando un sistema di difesa destinato a ferirla ulteriormente.

È la manifestazione dell’idea di donna che continua ad essere sottomessa dall’uomo, a seguire il suo modello comportamentale, accettando una famiglia di stampo patriarcale e la mancanza di controllo sul suo corpo.

Louise Boirgeois - knife-woman 2002

Louise Bourgeois, “Knife-woman”, 2002. 

 

Louis Bourgeois ha la fortuna di vivere a lungo, fino all’età di 98 anni. Se ne va nel 2010, lasciando un’enorme vuoto personale e un immaginario intenso, in grado di concretizzare i traumi nascosti nell’inconscio umano.

Fino ai suoi ultimi giorni gode di lucidità e di consapevolezza, tanto che la sua ultima installazione è Cell – The Last Climb (Cella – L’ultima scalata). Si tratta di un’opera che sembra alludere alla fine della vita terrena: una scala si erge verso il cielo, circondata da una gabbia metallica. Intorno volteggiano varie sfere blu, colore simbolo di pace, mentre appoggiate sul terreno, ce ne sono due di legno, più pesanti, che rappresentano i genitori. È un’opera più metaforica e serena del solito; sembra suggerirci che, alla fine, Louise abbia trovato la serenità, riuscendo a lasciarsi alle spalle il proprio passato. Consapevole di una nuova leggerezza, è stata pronta a fare l’ultima scalata, con una direzione piuttosto confortante: uscire fuori dalla gabbia.

 

The Last Climb 2008 -  Loise Bourgeois

Louise Bourgeois, “Cell – The Last Climb”, 2008. 

 

 

Maman

Louise Bourgeois, “Maman”, 1999. Foto di .

 

 

 

 

Se ti interessa il lavoro di un altra artista contemporanea che ha ridefinito l’immaginario femminile, vai a “Pipilotti Rist tra paradiso e inferno“.

Se invece vuoi scoprire un’artista che ha lottato per i diritti femminili fin dall’Ottocento, vai a “Mary Cassatt, impressionista femminista“.

 

 

 

 

 

[1] Tutte le citazione di Louise Bourgeois provengono da “Distruzione del padre / Ricostruzione del padre. Scritti e interviste”, a cura di Marie-Laure Bernadac e Hans-Ulrich Obrist. Traduzione di Giuseppe Lucchesini e Marcella Majnoni, Quodlibet, Macerata, 2009.

[2] Diverse testate giornalistiche non specializzate nel settore artistico come Elle Decor, Vogue Italia, Mediterraneo e Dintorni, riportano questa informazione, senza citare nessuna fonte. Non mi è chiaro quando Louise Bourgeois abbia dichiarato questo fatto, per cui lo ritengo una plausibile fake news.

 


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Chiara
Punk di formazione, da sempre si occupa di arte contemporanea e controculture.
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