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BOLTANSKI INIZIA LA VITA DA NON MORTO

La ricerca dell’immortalità continua

Chiara Righi10 Aprile 2018

Nel 2010 c’era qualcuno pronto a scommetterci: entro otto anni Boltanski sarebbe morto. Lo scommettitore si chiama David Walsh, anche conosciuto come “diavolo della Tasmania”, e sta pagando a caro prezzo la sua sconfitta.

inauguration Museo della Memoria di Ustica

Christian Boltanski al museo di Ustica, Bologna. Foto di Radio Città del Capo

Christian Boltanski non è morto e ha vinto la scommessa!
Otto anni fa, nel 2010, firmò una singolare scommessa con un collezionista della Tasmania, un milionario arrichitosi al gioco d’azzardo. Attenzione: non si tratta di un giocatore qualunque ma di una specie di calcolatore umano che pare aver ottenuto il divieto ufficiale d’ingresso all’interno di tutti i casinò della nazione!
Questo genio diabolico della matematica avrebbe scommesso che entro il 2018 Boltanski sarebbe morto, mentre quest’ultimo supponeva (e si augurava) il contrario.

 

Durante questi otto anni Boltanski si è impegnato a versare sul conto del collezionista un vitalizio e un’assicurazione sulla vita in modo che, in caso morisse, il milionario tasmaniano avrebbe continuato a percepire i suoi soldi come indennizzo. Ma Boltanski non è morto, ha vinto la scommessa e ora il gioco si ribalta: da contratto, ogni giorno di vita in più che Boltanski vivrà sarà a carico del collezionista, che s’impegna a risarcire tutti i soldi con gli interessi, fino alla morte effettiva dell’artista.

 

Da oggi in poi l’artista può tirare un sospiro di sollievo e rilassarsi: ha vinto sulla logica matematica e il gioco d’azzardo, guadagnandosi un cospicuo vitalizio. La sua ricerca dell’immortalità può proseguire.

 

Una vita alla ricerca dell’immortalità

Tutti un giorno moriremo e, peggio ancora, verremo dimenticati dal mondo. I nostri bisnipoti non sapranno minimamente chi eravamo né tutto quello che abbiamo fatto nella nostra esistenza, proprio come noi non abbiamo idea di chi fossero i nostri bisnonni. Questo fatto, per un utopista come Christian Boltanski non è assolutamente accettabile. Se c’è qualcuno che sta lottando contro la tirannia del tempo è lui: un uomo che cerca di conservare la memoria di tutti, vivi e morti.

 

Figlio di un medico ebreo che sfuggì alla deportazione rimanendo per anni nascosto sotto il pavimento di casa, Christian cresce circondato dai racconti spettrali della Shoah. Il pensiero di milioni di vite sbriciolate senza ragione, senza lasciare traccia, lo perseguita tanto da diventare una missione.

 

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Christian Boltanski, Monument, installazione del 1998 riproposta nel 2017 in occasione della sua mostra antologica al Mambo di Bologna

Inizia ad avvicinarsi all’arte da autodidatta, armandosi di tele e pennelli, per poi abbandonare questi strumenti e, nel corso degli anni sessanta, avvicinarsi a mezzi più personali. Inizia a montare e smontare frammenti di video, accumulare oggetti, creare installazioni spaziali in cui ci si possa entrare, passarci in mezzo. Il suo lavoro si fa sempre più teatrale e coinvolgente da un punto di vista spaziale ma è il contenuto quello che spiazza il pubblico.

 

Gli spettatori si trovano faccia a faccia con la collezione mortuaria che Boltanski ha accresciuto negli anni: centinaia di fototessere, vestiti e oggetti appartenuti a persone morte. Si tratta di poche tracce sopravvissute al processo di cancellazione storica della memoria, reliquie che lui cerca di tenersi stretto per non lasciarle cadere nell’oblio. I tratti sommari in una foto sbiadita, un numero civico, una lettera, non sono niente rispetto a tutto ciò che era quell’essere umano, una nullità rispetto alla sua presenza. Boltanski prende questa assenza che ci è rimasta e la monumentalizza, le da importanza.

Christian Boltanski at the Park Avenue Armory

Christian Boltanski, Personnes, a Monumenta 2010. Un enorme cumolo di vestiti si fa ricordo e metafora drammatica della morte dei loro proprietari.

L’artista parte preferenzialmente dalle grandi stragi, ovvero le situazioni in cui le morti finiscono per diventare solo cataste di numeri. A quei numeri cerca di riattribuire i volti, oppure le voci, i battiti cardiaci, salvando la piccola memoria privata. Procede poi creando per ogni defunto un altare, oppure un’urna funeraria, un loculo. Alle volte trasforma i volti in fantasmi, attraverso teli lievemente sdruciti, ombre e gioco di luce. Con una mano a volte lieve, a volte molto pesante, cerca quindi di restituire una consistenza a quei ricordi, seppur piena di vuoti, di dati perduti per sempre.

 

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Christian Boltanski, Les Regards, 1997, volti di partigiani fucilati a Bologna

 

Se già tutta questa ricerca lo aveva promosso ad artista di fama mondiale, dal 2013 il suo lavoro ha preso una direzione ancora più interessante: il suo discorso sulla morte è riuscito a farsi universale.
Sto pensando a opere molto evocative, capaci di mostrarci tutta la nostra fragilità e insensatezza. Attraverso delle operazioni poetiche ci fornisce una rapida fuga da noi stessi, dandoci la possibilità di osservarci dall’esterno, in un’ottica più ampia. Questo cambio di prospettiva, quasi divino, ci fa riflettere in modo nuovo e ci da piacere.

 

Sto penando a installazioni come Change e Animitas (blanc), in cui la vita di ogni essere umano singolo è riconnessa in un flusso di tante vite e a quello della natura che ci circonda, concedendoci un sospiro poetico.

Christian Boltanski - Change, 2011

Christian Boltanski, Change, biennale di Venezia 2011. Foto di Ed Jansen. L’opera ci mostra attraverso due contatori il numero delle persone che stanno morendo e nascendo nel mondo.

Attualmente Boltanski ci offre anche la possibilità da salvare la nostra stessa memoria: basta recarsi a Bologna nel museo di Ustica. Tra le potentissime installazioni dell’artista, lo spettatore viene invitato a lasciare la registrazione del proprio battito cardiaco, che Boltanski conserverà, tra i cuori di tutti gli altri donatori, su un isola del Giappone.

Ci offre quindi una piccola parentesi d’eternità nella memoria collettiva. Attraverso l’arte il nostro cuore potrà continuare a battere per l’eternità.

 

 


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Chiara
Punk di formazione, da sempre si occupa di arte contemporanea e controculture.
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