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Morte nell’arte

Chiara Righi16 Maggio 2021

La morte nell’arte è un ossessione. Il come, il quando e il perché dobbiamo morire è sempre stato uno dei temi principali delle riflessioni umane.

 

Sono moltissime le culture che hanno visto nascere come prima forma artistica l’arte funeraria. Ci basti pensare agli Egizi, che hanno riservato le bellezze dell’arte più raffinata alla vita ultraterrena (arte funeraria) o agli Etruschi, che credevano di poter sfuggire alle ire degli dei solo disponendo di una tomba ricca e bella che li compiacesse.

 

Solo perché dobbiamo contare i giorni, i giorni contano. Se non sapessimo di dover morire probabilmente non ci sforzeremmo più di tanto a dare un significato allo trascorrere dei nostri giorni. Proprio per questo motivo, l’arte ha sempre cercato di attribuire un significato alla nostra morte.

 

Sono infinite le immagini che glorificano le morti in guerra (morte per la patria), i martiri di santi (morti per la salvezza eterna), le morti eroiche (morte per un ideale). Tutto ciò nella speranza di trovare un senso alla nostra caducità.

 

La morte nell’arte contemporanea non ha cessato di esistere, anzi, è un tema più che mai ricorrente. Su Decode ci siamo occupati di questo tema analizzando l’opera di Boltanski nel’articolo Boltanski inizia la vita da non morto. Abbiamo affrontato il tema da un punto di vista più psicologico e filosofico Una questione di vita e di morte, e su La tua morte secondo Cacciari.


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